C’era una svolta

Martino Corti torna con un nuovo album e, sino al 12 ottobre, porta in scena i suoi Monologhi Pop  allo Spazio Tertulliano.

Attendevamo con ansia l’uscita di C’era una svolta – Monologhi pop vol. 2, il nuovo CD di Martino Corti, sperando che, come per il primo volume, l’evento fosse seguito da un altro di quegli originalissimi tour cui ci ha abituati. Eccoci accontentati!
Allo Spazio Tertulliano, sino al 12 ottobre, ritroviamo sul palcoscenico Martino Corti con Luca Nobis nel doppio ruolo di musicista – è co-autore delle musiche del disco – e di spalla comica. Poiché, come denuncia l’introduzione di sonorità elettroniche nei brani, lo stile di Corti si è evoluto ecco che, anche in scena, si registrano novità. Al duo si aggrega Dj Kustrell, stravolgendo giocoforza il delicato equilibrio originario e intavolando nuove stravaganti alleanze da cui nascono scene esilaranti all’ennesima potenza.
Lo spettacolo, in cui alle canzoni si alternano monologhi satirici di attualità estrema, è una lucida, dolceamara e ironica visione dell’età contemporanea, nelle sue multiformi sfaccettature. Già prima che i personaggi compaiano in scena, da dietro il sipario, si sente la vocetta stridula  del bambino che contesta la mamma (la voce è di Angela Finocchiaro) intenta a narrargli una favola tradizionale. «C’era una volta» inizia lei ma subito il figlio la spiazza, ponendole imbarazzanti quesiti sull’impellente bisogno di lavorare e polemizzando sulla necessità di abbandonarlo temporaneamente alle cure di estranei. La conclusione di tale dialogo corrisponde alla profonda consapevolezza – del bambino, più che della madre – di quali dovrebbero essere le priorità da tenere davvero presenti seppur la condizione umana non consenta di farlo. Muovendosi su un palcoscenico disseminato di giocattoli, rispolverando l’innocenza infantile sepolta sotto strati di convenzioni sociali,  Martino Corti tenta di farci sorridere del pathos generato della crisi in corso. Ci riesce benissimo perché la leggerezza, come dice Italo Calvino, “non è superficialità, ma desiderio dì trasmettere, con immediatezza, spunti di riflessione etici e sociali”.
Spaziando a 360 gradi per questa nostra modernità, Corti non si focalizza sulla sola economia. I suoi sketch irridono anche le snervanti conversazioni con i call center, le mode salutiste, la consuetudine di rinnovarsi costantemente per essere sempre all’avanguardia – spesso senza ottenere i risultati sperati – e il senso di destabilizzazione  e disorientamento generati proprio da quegli ausili informatici che dovrebbero agevolarci nelle azioni quotidiane. Ben venga allora Sunny day, un gioioso invito ad andare dove il rumore può trasformarsi nella  meravigliosa  colonna sonora di una vita di piena coesione e condivisione. Il ritmo accattivante da ballata folk e la scelta dell’inglese quale strumento comunicativo rendono ancora più gradevole e originale il pezzo.
Una porzione del palcoscenico è idealmente occupata da un albero simile a quello sotto cui Martino si rifugiava da bambino alla ricerca di tutela e rassicurazioni; i reiterati riferimenti alle fronde ombrose diventano metafora della nostalgia per un passato di valori tradizionali, che permeavano e rendevano rassicurante e fiduciosa la nostra esistenza. In questa direzione va uno dei pezzi più belli e toccanti del nuovo album: Addio domeniche tranquille che, con estrema delicatezza, attraverso i ricordi del nonno, racconta di quando nel 1944 la squadra dei vigili del fuoco dello Spezia vinse, contro ogni pronostico, il campionato di calcio. Allora lo sport era solamente un momento di evasione dal dolore della guerra e andare allo stadio rappresentava un momento di felicità condivisa. In un continuo altalenare tra leggerezza e follia non mancano i riferimenti ai valori saldi che riescono a guidarci nella nostra tormentata esistenza a guisa della speranza rimasta sul fondo del vaso sventuratamente aperto da Pandora. Con C’è voluto un bel po’ Martino Corti celebra l’amore empatico verso chi ci è davvero affine, identificandolo con l’unico sentimento che riesca davvero a risollevare la condizione umana, restituendole la pienezza e la beatitudine che la dovrebbero contraddistinguere.
L’infarcire ogni testo, cantato o recitato, di molteplici livelli di lettura è un po’ il marchio di fabbrica di Martino come è perfettamente esemplificato in Soffro più del mio cane (e allora ballo), il primo singolo estratto dall’ album. Frasi come «educatamente io penso che il sorriso sia una forma di rivoluzione» o, ancora, «come un pazzo insospettabile io mi fingo normale» potrebbero infatti essere tranquillamente utilizzate come slogan per promuovere sia il CD che lo spettacolo perché i testi, dal forte senso del ridicolo e dell’autoironia, nel momento interattivo creato a teatro, non nascondono affatto il desiderio di comunicare pensieri ben più profondi. Per esempio, il pubblico in sala si ritrova nelle gaffe raccontate in Ops e ride di gusto ma la canzone costituisce anche una seria riflessione sulla difficoltà di confrontarsi con le convenzioni sociali quando l’istinto, la coerenza e la voglia di essere fedeli a noi stessi ci indurrebbero ad abbandonarci ad una comunicazione schietta e senza filtri. In un’epoca di finti buonismi ben vengano allora i cinici dal cuore tenero come Martino Corti, Luca Nobis  e Dj Kustrell.

Assia Esposito


leggi anche:
l’intervista a Martino Corti
la recensione di Le cose non contano nulla

Lo spettacolo continua:
Spazio Tertulliano 
via Tertulliano 68 – Milano
fino a domenica 12 ottobre 2014
da mercoledì a sabato ore 21.00; domenica ore 16.30
www.spaziotertulliano.it
 
C’era una svolta – Monologhi pop vol. 2  
di Martino Corti e Gianfelice Facchetti
con Martino Corti, Luca Nobis, Dj producer Kustrell
produzione Cimice
www.martinocorti.it

Questa voce è stata pubblicata in libri&musica, Milano, prosa&danza, Spazio Tertulliano e contrassegnata con , , , , , , . Contrassegna il permalink.

I commenti sono chiusi.