Cous Cous Klan

cous-cous-klan-2Tra alcuni dubbi e tante risate debutta a Milano l’ultima produzione di Carrozzeria Orfeo, una delle più interessanti – e dissacranti – compagnie teatrali contemporanee.

In questo gelido dicembre arriva a Milano in prima nazionale Cous Cous Klan, il nuovo spettacolo di Carrozzeria Orfeo. Gabriele Di Luca, autore della drammaturgia, prosegue lungo il percorso creativo ben descritto nell’intervista concessa ad Artalks anni fa: se da un lato si ispira a serie tv americane quali Shameless o Breaking Bad, dall’altro i suoi personaggi non sono mai completamente malvagi. I tre fratelli protagonisti di Cous Cous Klan – l’ex prete Caio, l’omosessuale sordomuto Achille e Olga tanto obesa quanto cinica – sono la trasposizione scenica de Gli archetipi cognitivi di Jung. Sono persone prese a schiaffi dalla sorte eppure, sotto la dura corazza sviluppata per sopravvivere agli eventi, celano uno smisurato quantitativo d’amore da distribuire. Purtroppo Di Luca in Cous Cous Klan non riesce a trovare il sublime equilibrio tra le parti di Thanks for vaselina.Il lavoro è nettamente diviso in sue sezioni: ad una prima cattivissima fase ne segue una seconda eccessivamente idilliaca e zuccherosa. Lo spartiacque è segnato dall’arrivo di Nina, una ribelle che guida il manipolo di emarginati verso il riscatto umano e sociale. Questo almeno nelle parole del comunicato stampa che accompagna il debutto; a noi sembra più il parto del retaggio culturale cristiano occidentale, lo strumento mandato dal Signore all’autore per redimere i peccati e pulire le anime delle sue creature. Il finale è – nonostante tutto – talmente lieto da risultare stucchevole. Anzi, peggio, Di Luca appare pervaso da un’ansia buonista che lo spinge a scrivere non uno ma ben tre finali posti in successione, separati solo dall’applauso di un pubblico confuso da una storia che non vuole più concludersi. Così come nel precedente Animali da bar l’autore ha l’irrefrenabile bisogno di dipingere un roseo futuro per ciascuno dei protagonisti della storia finendo però col castrare il desiderio del pubblico di immaginare un seguito.
Nonostante siffatte considerazioni Gabriele Di Luca resta uno degli autori più interessanti dell’attuale panorama teatrale italiano. Le sue opere sono da sempre dense di spunti di riflessione critica sulla contemporaneità e prospettano realistici quanto disillusi scenari per il futuro prossimo venturo. Sono davvero tante le tematiche che affollano il testo: l’autore dovrebbe asciugare i contenuti, tornando al minimalismo degli esordi di Carrozzeria Orfeo, e rassegnarsi all’idea che l’happy ending della specie umana, allo stato attuale delle cose, è una mera utopia. Caricare tutto troppo finisce per svuotare di senso invece di riempire di contenuto.
L’ambiente descritto in Cous Cous Klan ricorda le visioni di pellicole epiche quali Mad Max (1979) o Waterworld (1995) e, sebbene non così drammatico, risulta molto più inquietante perché verosimile. Nel futuro immaginato da Di Luca l’acqua è un bene prezioso perché privatizzata da grandi aziende con il beneplacito – e la partecipazione societaria – della Santa Sede; lavarsi è un lusso, sorveglianti armati impediscono tuffi non autorizzati nei laghi e persino detenere scorte di acqua sporca è illegale; per placare la sete le persone ricorrono a generi quali il latte, con buona pace della demonizzazione dell’alimento fatta dai moderni nutrizionisti. I ricchi vivono in aree recintate, allietate da natura lussureggiante, con acqua in abbondanza. Fuori, nel deserto, in alloggi di fortuna sopravvivono i poveri rassegnati e i rinnegati ribelli. Oltre, le fosse comuni dove giacciono gli zingari sterminati dal governo totalitario e poi il nulla.
Lì, nella terra di nessuno, vivono tre fratelli: Caio (Massimiliano Setti), un ex sacerdote depresso cinico ed avido, spogliato dell’abito talare per aver sollevato il velo che cela le malefatte della Chiesa;  Achille (Alessandro Tedeschi), sordomuto e un po’ ritardato, un ragazzo omosessuale alla ricerca dell’amore o almeno del suo primo vero rapporto sessuale; Olga (Beatrice Schiros) appesantita nel fisico e nell’animo da una sequenza di scelte sbagliate che, alla soglia dei cinquant’anni, la spingono a cercare ossessivamente una gravidanza per compensare il rimpianto di aver abbandonato la prima figlia. Futuristica cougar, Olga seduce con la sapienza della femmina esperta e la bellezza della donna formosa – come le statue di madre terra realizzate dalle tribù africane – Mezzaluna (Pier Luigi Pasino), il dirimpettaio mussulmano che preferisce fare l’operaio addetto allo smaltimento dei rifiuti tossici allo stragista.
A loro si unisce Aldo (Alessandro Federico): avrebbe dovuto fermarsi un paio di notti nella macchina concessagli in affitto da Caio ma poi gli eventi sono precipitati e la sua permanenza si è protratta ad oltranza. Se Olga è l’emblema della maternità irrealizzata, Aldo è portavoce di quei padri divorziati spolpati da ex mogli che nemmeno lasciano loro i soldi per un’esistenza dignitosa e – non stiamo qui a sindacarne le motivazioni – proibiscono di vedere i figli avuti insieme. Aldo è tuttavia anche lo stereotipo del creativo arrogante e incompreso: quella figura di professionista così sicura delle proprie capacità da non ridimensionare i progetti nemmeno quando vede che non hanno alcun appeal sul cliente. Instancabile, l’autore butta nel calderone tante altre problematiche che connotano la società odierna, ma sempre con quel tono sarcastico che riesce a coinvolgere anche gli spettatori più indifferenti: dallo stupro alla corruzione, dalla violenza domestica all’odio razziale.
E poi arriva Nina (Angela Ciaburri) a scombinare l’equilibrio – precario – della piccola comunità. Noi, a differenza di Di Luca, vi diremo davvero poco di questa ragazza positiva, sebbene con molteplici lati oscuri, lasciandovi il piacere di scoprire chi sia e come aiuti quel manipolo di disperati a riscoprire l’amore e reimpossessarsi di una dignità che credono evaporata come una goccia di preziosissima acqua al sole. A nostro parere l’entrata in scena di Nina coincide con l’inizio della disfatta di Cous Cous Klan. È lei la protagonista di una sequenza di scene strazianti degne degli show di prima serata dedicati a dichiarazioni amorose, rivelazioni imbarazzanti e ricongiungimenti famigliari; uno zuppone buonista, un po’ qualunquista e – ci perdoni l’autore ma di certe cose di donne proprio si vede non sa nulla – un po’ maschilista. Eppure, per come sono impostate le scene, si colgono perfettamente i pensieri dei personaggi, le azioni che stanno per compiere, le relazioni che li legano. Perché rovinare la magia di un chiaro di luna, la poesia di un abbraccio con spiegazioni scontate? Perché, infine, cedere alla moda del nudo in scena utilizzato sempre più spesso per distrarre il pubblico dall’assenza di contenuti quando non è necessario?
Ne siamo consci, abbiamo sollevato molti interrogativi su Cous Cous Klan ma non avremmo perso tempo se non credessimo nella qualità del lavoro autoriale e registico. Ogni singola battuta che esce dalla bocca dei personaggi è un piccolo capolavoro, una perfetta combinazione di parole che stende interlocutore e pubblico con una dose letale di cinismo, una raffica inanellata con leggerezza, una serie di tristi considerazioni sulla condizione umana che strappano risate a non finire. Ci si appassiona quando i singoli, ormai divenuti “una banda”, ripassano la sequenza di passaggi del colpo che cambierà le vite loro e di quanti vivono ai margini della società; una banda che strizza l’occhio a Colpo grosso (1960) con Frank Sinatra, Dean Martin e Sammy Davis Jr. o al più italiano I mitici – Colpo gobbo a Milano (1994) dei fratelli Vanzina. E nella sequenza dei finali ci si commuove pure un po’.
Straordinarie le scene disegnate da Maria Spazzi che, con le musiche composte da Massimiliano Setti, sono fondamentali per preparare il terreno all’ingresso di un cast strepitoso nel conferire autenticità ai personaggi, da Beatrice Schiros più isterica che mai ad Alessandro Tedeschi perfetto nel riprodurre la disabilità fisica senza cadere nel macchiettistico. E noi possiamo sempre intendere Nina come un folletto disturbatore, un sogno a occhi aperti che per un attimo ci ha fatto temere che Carrozzeria Orfeo avesse perso il tocco magico nel raccontare storie realisticamente surreali, nel proporre con poesia la violenza di tutti i giorni.

Silvana Costa

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Lo spettacolo continua:
Teatro Elfo Puccini – sala Shakespeare
c.so Buenos Aires 33 – Milano
fino a domenica 31dicembre 2017
orari: martedì-sabato 21.00
domenica e martedì 26 dicembre 16.30
riposo: 24 e 25 dicembre
www.elfo.org

Cous Cous Klan
uno spettacolo di Carrozzeria Orfeo
drammaturgia Gabriele Di Luca
regia Gabriele Di Luca, Massimiliano Setti, Alessandro Tedeschi
scene Maria Spazzi
costumi Erika Carretta
musiche originali Massimiliano Setti
con Angela Ciaburri, Alessandro Federico, Pier Luigi Pasino, Beatrice Schiros, Massimiliano Setti, Alessandro Tedeschi
voce fuori campo Andrea Di Casa
luci e direzione tecnica Giovanni Berti
una coproduzione Teatro dell’Elfo, Teatro Eliseo, Marche Teatro
in collaborazione con Fondazione Teatro della Toscana e Corte Ospitale – residenze artistiche
durata 120′ senza intervallo
prima nazionale
www.carrozzeriaorfeo.it

Tour:
10/28 gennaio
Teatro Eliseo, Roma

14/18 febbraio
Teatro Sperimentale, Ancona

25 febbraio
Teatro Lac, Lugano

1 e 2 marzo
Teatro dell’Archivolto, Genova

 

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