Cuore di tenebra

BodyPart 11In scena a Pistoia, in prima assoluta, il nuovo progetto del Teatro de los Sentidos, per la regia di Enrique Vargas. Questa volta agli spettatori si chiede di sperimentare la prigionia.

Tutto sommato, la terra non ci riguarda più. Le nostre strade hanno deviato l’una dall’altra svariato tempo fa. Un tempo che non torna. Che non torna. Denudarsi oggi il piede per la terra è come spalancare la pupilla per il sole. Regressione impossibile, ci dicono. O no?
Io ho nella mia stanza, nella sua gabbietta, un cardellino multicolore. So di volergli bene, gli ho persino dato un nome stupido da portare al collo. La sua vaschetta è piena, le sue sbarre sempre lucide e linde.
Mettiamo ora che la porta della mia stanza decida, di punto in bianco, di non aprirsi più. Mettiamo che per giorni se ne rimanga chiuso lì, senza speranza, senza forze. E senza cibo.
Un’aura sfocata avvolge il mio cardellino, sempre più sfocata. Ma lui, disgraziato, è ben nitido nella mia pupilla ingigantita.
Dopo giorni scoprirò che la porta non si era chiusa da sola. Quando mai una porta è stata tanto intraprendente? No, qualcuno l’ha chiusa.
È stato Enrique Vargas.
Domenica 4 ottobre: siamo nell’ex Centro Fiere di Pistoia. Si entra in un mondo buio, passando per una porta segreta. Si entra nel ventre della nave deportatrice, col rintrono gutturale della chiglia e dei fianchi. Giù per un sentiero oscuro, senza borse né giacche. La separazione in gruppi, con l’escamotage della scelta (“chi vorresti come compagno di viaggio?“); e poi, l’attracco. Gli agglomerati umani si trasformano in numeri. Finiamo nel gruppo 42.
Cuore Di Tenebra, che affonda le radici nel romanzo omonimo conradiano, inizia a esistere là dove espressione artistica e ricerca sociale si scontrano l’un l’altra, guardandosi allibiti. A farsi notare è l’incredibile senso dell’immedesimazione che il percorso sonoro-visivo-olfattivo innesca nello spettatore-operatore, nonché le circostanze che lo costringono ad agire e reagire agli eventi. Non è raro che agli spettacoli di Enrique Vargas si verifichino casi di malore o attacco isterico.
Pronti all’ingresso, disposti in fila per la registrazione. Si ha tutto l’impaccio, tutta l’atterrita confusione di chi riceve ordini sgarbati senza che gli sia ben chiaro cosa debba fare. Ognuno deve firmare, sottostare al metro.
E poi, il campo di lavoro. Un forte odore di terra rivoltata, l’aria greve di vapore acqueo rilasciato. Non puoi ripararti, ti hanno tolto le scarpe. Dalle profondità, le profondità odorose e oscure, le chiatte degli schiavi si avvicinano disperdendo lumi incoerenti. La cantilena corale avviluppa l’aria, il senso dell’annaspamento, del proprio collasso ontologico, giù per la scala delle creature, fino all’animale da preda. La percezione di regredire fin nell’essenza più primitiva dell’animo umano. Tutto questo è figlio del romanzo. Ma qui non troveremo feticci disumani da venerare, né personalità da considerare razionalmente. Non c’è alcun signor Kurtz, o se anche ci fosse non ci è dato saperlo. Non siamo altro che schiavi. Schiavi dello Stato Libero del Congo, preso benevolmente in tutela da sette Stati europei in contemporanea e, perciò, costretto a mantenerli tutti, pena la soppressione, se le quote non sono raggiunte.
Trascinati, comandati, sballottati, si perde progressivamente la consapevolezza di ciò che si ha attorno. Alcuni smarriscono perfino il senso della pietà. Nella confusione, nell’incapacità di capire, l’autopreservazione prende il sopravvento. Non più individui, bensì bestie. Fino a uccidere il compagno che ti domanda di farlo, fino a collaborare alla macchina di morte che lentamente sta seppellendo vivo, un uomo. Il medesimo automatismo di cui ci hanno parlato i superstiti dell’Olocausto o i dissidenti dei Pogrom, e che finora non avevamo compreso.
Fiumi d’inchiostro sono stati spesi sulla questione: può l’uomo – quello istruito, filantropico e mentalmente sano – causare la morte di chi ha attorno, invasato da un automatismo insensibile? Sì. Forse che il male, di cui il romanzo è tanto avviluppato, è realmente parte innegabile di ogni essere senziente? Le risposte a simili quesiti non sono pertinenti, ma sicuramente – che il male ci riguardi, oppure no – la vita, quella sì, ci riguarda. E in nome di quella, quando ti sarà chiesto di scegliere – se tu o lui, se tu o lei – cosa sceglierai?
A fine spettacolo la coscienza torna, titubante, spaventata. E sporca.

Sharon Tofanelli

BodyPart 1BodyPart

Lo spettacolo è andato in scena:
Centro Fiere
via Pertini s.n. – Pistoia
domenica 4 ottobre, ore 22.00
www.teatridipistoia.it

Il Funaro Centro Culturale con Associazione Teatrale Pistoiese e Comune di Pistoia presentano:
uno spettacolo del Teatro de los Sentidos commissionato e prodotto da Republique Copenhagen
Cuore di Tenebra 
regia Enrique Vargas
drammaturgia Enrique Vargas e Teatro de los Sentidos
coordinamento del progetto Patrizia Menichelli
assistente alla regia Arianna Marano
direzione degli attori Gabriella Salvaterra
disegno dello spazio Gabriella Salvaterra
disegno luci e poetica dell’oscurità Francisco Javier García, Luigi Biondi
disegno del suono Stephane Laidet
disegno olfattivo Giovanna Pezzullo
costumi Patrizia Menichelli
direzione tecnica Gabriel Hernández
attori-ricercatori: Betina Birkjaer, Francisco Javier García, Gabriel Hernández, Stephane Laidet,  Arianna Marano, Patrizia Menichelli, Eva Pérez, Giovanna Pezzullo e Gabriella Salvaterra
collaborazione drammaturgica Susana Fernández de la Vega e Valentina Vargas
organizzazione Claudio Ponzana Management Toni Vidal amministrazione Lidia Figueras
prima nazionale

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