Il malato immaginario

Al Teatro Franco Parenti torna in scena Il malato immaginario, riproponendo l’allestimento che, trent’anni fa, conferma il successo di Andrée Ruth Shammah come regista.

Riteniamo che la versione de Il malato immaginario in scena in questi giorni al Teatro Franco Parenti di Milano sia una grande lezione per quanti il teatro lo fanno, prima che per quanti lo seguono con affetto e costanza. Andrée Ruth Shammah ha avuto il coraggio e la lungimiranza – o la pigrizia? – di riproporre la regia studiata negli anni Ottanta per quest’opera di Molière ed il pubblico, prima che la critica, la premia assicurando il sold-out per tutte le date delle repliche.
Cerchiamo di essere franchi: al di là degli annunci di invenzioni strepitose fatte da registi in cerca di visibilità, le opere di Molière contengono precisi caratteri e codici della commedia dell’arte che, affinché la farsa emerga in tutto il suo fulgore, devono essere rispettati, senza lasciare troppo spazio a estrosità. Eppure, se recuperiamo un video d’epoca e confrontiamo la versione attuale de Il malato immaginario con quella interpretata da Franco Parenti – nel ruolo di Argan – e Lucilla Morlacchi – in quello di Antonia – mai due messe in scena furono così distanti tra loro. Questo è dovuto, esclusivamente, alla bravura del cast ed alla capacità della regista di valorizzare ogni singolo attore a sua disposizione. Gioele Dix, nei panni di Argan, ci sorprende: siamo così abituati a vederlo in spettacoli scritti, diretti ed interpretati da lui che quasi non concepivamo la possibilità che riuscisse a lasciarsi guidare dalle sapienti indicazioni di Andrée Ruth Shammah. Sono ormai passati decenni  ma ancora si sogghigna al ricordo di quando la caparbietà di Paolo Villaggio indusse Giorgio Stehler a gettare la spugna e lasciare la regia di un altro celebre allestimento de Il malato immaginario! Qui non è così, Dix mette da parte il monologo per partecipare ad una straordinaria opera collettiva – fa davvero piacere vedere sul palco un cast così numeroso – raggiungendo una perfetta sincronia con i compagni in scena: non solamente nelle schermaglie con Anna Della Rosa nel ruolo di Antonia ma anche con Linda Gennari che interpreta sua moglie o Valentina Bartolo che veste i panni di entrambe le figlie – la dolce Angelica e la pestifera Luisona. Dix riesce a spogliarsi di una figura piacente e carismatica per dar vita a un uomo disperato e capriccioso, infantile ma autoritario, il cui unico male risiede nell’iperattività mentale tipica di una persona annoiata e, probabilmente, depressa. Quello che Gioele Dix fortunatamente non cela è la straordinaria ironia – condita da gran roteamenti degli occhi cerulei – che, aiutando il pubblico a sciogliersi in risate, lo predispone a cogliere il profondo messaggio di miseria e dolore celato dietro la farsa scritta da Molière.
Anna Della Rosa – attrice tra le più richieste del teatro e del cinema italiano, già presente in altri spettacoli in cartellone al Teatro Franco Parenti – sorprende per la straordinaria presenza scenica e la potenza espressiva di voce e viso, dimostrandosi una degna partner/avversaria per il protagonista. A chiudere il triangolo dobbiamo menzionare il forzato candore con cui Linda Gennari interpreta il ruolo della moglie di Argan: complici rossetto ed unghie laccati di jungle red la possiamo inserire di diritto nella top ten delle dark lady più cattive di tutti i tempi. Considerando gli applausi a scena aperta che raccoglie pressoché ad ogni replica, non è possibile ignorare Francesco Brandi – nel ruolo di Tommaso  Purgoni – che, messi da parte per un po’ i set cinematografici e televisivi, è stato iniziato da Andrée Ruth Shammah ai rigidi dettami dello spettacolo dal vivo. A suggellare la continuità tra passato e presente della regia della Shammah è la presenza di Piero Domenicaccio, in entrambe le occasioni calato negli autorevoli panni del Professor Fecis; in realtà anche Gioele Dix, seppur in ruoli diversi, è presente in entrambi i cast.
La scenografia e i costumi, firmati negli anni Ottanta da Gianmaurizio Fercioni, risultano più attuali che mai. L’impianto scenico è essenziale, privo di tendaggi, di segnali di benessere borghese e di eleganze barocche; all’insegna del rigore è anche la scelta cromatica che si basa su tre soli colori: il bianco, il nero e il rosso dell’immensa poltrona su cui è sprofondato il malato. Lo studiolo dove Argan spende gran parte della giornata dedicandosi a pozioni, medicine ed unguenti è delimitato da pareti in tulle nero che lo fanno assomigliare ad uno di quei box dove si pongono i bambini affinché giochino in sicurezza. Se vogliamo paragonare i capricci del malato a quelli di un infante, non ci sorprende il severo costume di Antonia che ben si adatta al fisico asciutto di Anna Della Rosa: essenziale come quello di una carceriera, nero come quello di una suora. La tenuta, così distante da quelle dotate di ampie scollature che vediamo solitamente vestire alle procaci servette della commedia dell’arte, sembra confermare una possibile perversa lettura sadomaso del raporto tra domestica e padrone. Argan invece si mostra indifeso, infagottato in panni di candida lana per non correre il rischio di raffreddarsi per uno spiffero d’aria e, alla stregua di Linus, trova conforto e rassicurazioni nel calore della copertina. Lo stile scelto per gli altri personaggi in scena richiama gli anni Trenta: eleganti frac si alternano ad ampie giacche da dandy in un fruscio di sete cangianti e velluti lucenti. Il maestoso manto color Marsala – sorprendente notare come non solo i tagli ma anche i colori siano assolutamente in linea con la moda del momento – che scopre strategicamente le lunghe gambe di Linda Gennari è in stridente opposizione con l’abito in seta leggera, da signorina bon ton, di Valentina Bartolo cui sembrano strizzare l’occhio le creazioni di una nota casa di moda milanese. Oggi come allora, nessun dettaglio è lasciato al caso, in un mirabile esempio di perfetta orchestrazione delle parti e cura dei particolari che, non tradendo affatto l’età della regia, si dimostra più attuale e brillante che mai.

Silvana Costa

Lo spettacolo continua:
Teatro Franco Parenti – Sala Grande
via Pier Lombardo, 14 – Milano
fino a domenica 1 marzo 2015
www.teatrofrancoparenti.it
 
Il malato immaginario
di Molière
traduzione Cesare Garboli
con Gioele Dix, Anna Della Rosa,Marco Balbi, Valentina Bartolo, Francesco Brandi, Piero Domenicaccio, Linda Gennari, Pietro Micci, Alessandro Quattro, Francesco Sferrazza Papa
scene e costumi di Gianmaurizio Fercioni
luci di Gigi Saccomandi
musiche di Michele Tadini e Paolo Ciarchi
regia Andrée Ruth Shammah
produzione Teatro Franco Parenti

Questa voce è stata pubblicata in Milano, prosa&danza, Teatro Franco Parenti e contrassegnata con , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , . Contrassegna il permalink.

I commenti sono chiusi.