Oppressione

In Voci di Famiglia – al Teatro Francesco di Bartolo di Buti – Dario Marconcini continua la propria ricerca su Pinter con uno spettacolo tutto da scoprire.

Per uno spettatore medio lo spettacolo di Dario Marconcini appare ben strano: i tre attori non sembrano recitare granché bene, lo spettacolo ha qualcosa di retrò, un po’ anni 80, e la scena è piuttosto pesante: suddivisa in tre livelli. Un ipotetico “dietro” – dal quale appare il padre; la casa della madre; e, infine, la casa del figlio. Lei è seduta a un tavolino con una parete ricoperta da carta da parati a fiori alle spalle, mentre lui sta seduto su un divano. Anche le luci contribuiscono alla netta divisione dell’ambiente in questi tre livelli. Fortunatamente, nel foyer del teatro di Buti, vi sono moltissime locandine in cui compare un nome – sconosciuto, purtroppo, al pubblico meno attento: Jean Marie Straub. Ed è così che lo spettatore curioso, che cerchi di capire che cosa ha visto in scena, può scoprire l’universo estetico di Straub, forse meglio conosciuto in coppia con la moglie Danièle Huillet – scomparsa nel 2006. I due cineasti francesi che hanno perseguito, per tutta la vita, una ricerca antispettacolare fortemente segnata dal concetto di straniamento e, quindi, da una recitazione che rifugge l’immedesimazione – dell’attore e dello spettatore – su testi che non devono essere recitati bensì mostrati al pubblico perché vi ragioni sopra.
Per molti anni  Straub e Huillet hanno trovato a Buti un luogo di relazioni feconde – fra le quali, la collaborazione con Marconcini (direttore artistico del Teatro, regista e “padre” nel nostro spettacolo) e Giovanna Daddi (la protagonista femminile), che dura ormai da decenni (e continua ancora oggi, nonostante la scomparsa della Huillet). E noi crediamo che fare riferimento all’estetica di Straub-Huillet possa essere utile per riuscire a comprendere questo spettacolo.
Il testo, nel nostro caso, è Voci di Famiglia di Harold Pinter. Nel dramma (nato in realtà come radiodramma – trasposto per le scene praticamente senza modifiche), tre voci si alternano nel racconto delle loro vite. Un figlio, una madre, un padre (morto). Tuttavia, non c’è dialogo, non esiste ascolto reciproco: troppo forte è l’urgenza di dire, di esprimersi, di accusare e recriminare (un’urgenza che sopravvive anche alla morte). Nel dramma, Pinter mostra la manipolazione sottile, la violenza della comunicazione quotidiana così come la violenza dei rapporti, e il soffocamento dell’energia vitale. Vi si rispecchia la (tipica) dinamica familiare: l’oppressione, l’incapacità di crescere o di fornire gli strumenti per farlo, il marcire dentro perché non vi è modo di sbocciare e fiorire. Vi è rappresentato un mondo che non può, non sa e non vuole avere rapporti reali con l’esterno e l’altro da sé, ed è quindi destinato a vivere tutta una vita (e a morire) nel rancore e nella tristezza assoluta di un’occasione perduta.
Grazie all’interpretazione di Daddi, Carucci Viterbi e Marconcini, tutto questo arriva direttamente allo spettatore – si potrebbe addirittura scrivere che gli viene sbattuto in faccia (e anche con una certa violenza). In platea, si sperimenta un profondo senso di oppressione, di claustrofobia e angoscia – una forma di morte lenta, quasi si scivolasse nei fumi putridi della marcescenza equatoriale. Anche la scena, quindi, assume tutta un’altra valenza: oppressiva anch’essa, segno distintivo di un mondo vecchio, chiuso, statico e bloccato in un punto del passato dal quale non si può – o non si vuole divincolarsi.
Tornando ai tre livelli in cui si divide la scena, ci si accorge a questo punto che anch’essi non comunicano fra loro. Tutto quindi è inteso per rimarcare questa divisione, il tulle che separa madre e figlio, le luci che tagliano nettamente gli ambienti: vi è un’assoluta incomunicabilità fra di essi, un’incapacità di dialogare sia realmente che simbolicamente. Ogni cosa emerge dal buio e al buio ritorna – senza nessuna possibilità di cambiare.

Mailè Orsi

 

Lo spettacolo continua: 
Teatro Francesco di Bartolo
via Fratelli Disperati, 4 – Buti
fino a lunedì 27 aprile, ore 21.15
www.teatrodibuti.it
 
Associazione Teatro di Buti presenta:
Voci di famiglia
di Harold Pinter
traduzione Alberto Serra
regia Dario Marconcini
con Giovanna Daddi, Emanuele Carucci Viterbi e Dario Marconcini
scene e luci Riccardo Gargiulo e Valeria Foti
costumi Giovanna Daddi
prima nazionale

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