I racconti di Vittorio Gregotti

Il decano degli architetti italiani propone un manuale organizzato in meticolose sezioni in cui svela come disciplinare le idee progettuali. Poche semplici regole di metodo per creare un intervento che dialoghi con lo spazio per definire un’efficace alternativa allo stato delle cose, ponendo le basi per una permanenza significativa che resista al tempo, alla critica e a eventuali cambi di destinazione d’uso.

In un’epoca in cui anche le più autorevoli riviste di architettura sembrano avere sempre minor seguito a favore di mute rassegne fotografiche condivise su Internet, Vittorio Gregotti va imperturbabilmente controcorrente. Ultranovantenne, con edifici realizzati in quattro dei cinque continenti emersi, teorico di prestigio internazionale con trascorsi alla direzione di periodici di riferimento per la cultura del progetto, instancabile dà alle stampe un libro dopo l’altro. Ci soffermiamo qui su I racconti del progetto, una raccolta di considerazioni professionali dove la scelta precisa e consapevole del termine “racconto” indica “l’organizzazione progressiva del progetto che trasforma in un insieme di forme di senso coerenti i materiali offerti dall’esperienza stessa, conquista un inizio e un fine creativamente fondato che propone un’architettura altra, capace di affrontare in modo specifico, necessario e compiuto, la pluralità instabile di immagini, silenzi, spazi memorie ed usi, le schegge di esperienze che la circondano nel tempo” (pag 12).
Esattamente a vent’anni fa risale Racconti di architettura, un volume edito sempre da Skira, in cui l’architetto raccoglie una variegata selezione di quattordici relazioni di progetti elaborati da Gregotti Associati, lo studio con sede a Milano e Venezia, da lui fondato agli inizi degli anni Settanta. A differenza di quei racconti riccamente illustrati, i nuovi sono accompagnati dalla sola immagine che campeggia in copertina, a sottolineare il contenuto altamente teorico dell’opera. Chiaro, eppur complesso come sempre, Gregotti espone le proprie considerazioni sulla modificazione critica della realtà, ruolo di cui è investita l’architettura, missione che oggi la disciplina sembra non riuscire a portare a termine, perdendosi in inutili virtuosismi volti a spingere la tecnica ai limiti estremi.
Rispetto al mondo dominato dall’industria in cui l’autore mosse i primi passi nella professione, l’odierna realtà è in balia del fluire continuo di capitali, guidato troppo spesso – come accade anche all’arte contemporanea – dalla ricerca spasmodica di nuove sfide e nuovi mercati.  In siffatto panorama Vittorio Gregotti, che sembra non aver mai abbandonato il piglio da docente, propone una ricetta concettuale e filosofica per restituire alla formazione discorsiva dell’architettura il ruolo di fondamento della pratica realizzativa: “il progetto è un dialogo critico con la realtà, il che significa soprattutto un dialogo tra i fondamenti dell’architettura e una specifica condizione. La condizione è quella geografica e storica, tecnica e simbolica del presente ed è a confronto (non a consenso) con questi articolati elementi che si muove la nostra disciplina” (pag 14). Non mancano perciò puntualizzazioni critiche, parallelismi con il mondo letterario – pregevoli i riferimenti a Calvino e Focault – e artistico, avvertimenti sugli errori da evitare e incoraggiamenti per uscire dagli immancabili momenti di impasse.
Per l’elaborazione di un progetto, così come per lo sviluppo del personaggio protagonista di un racconto letterario, ci sono regole precise che Gregotti espone nella prima parte del libro: Condizioni, Frammenti di verità del presente, Il silenzio, Incertezze e difficoltà, Disgiunzione, Il soggetto, Descrizione e interpretazione, Immagine e forma, Segno e intenzionalità, Segno e disegno. Segue quindi l’elenco delle virtù che a ogni progetto si chiede di dimostrare: Precisione, Semplicità, Ordine, Organicità, Incertezze e simulazioni, Modificazione e creatività. Una creatività che per Vittorio Gregotti è modificazione di una realtà con cui l’architetto non può esimersi dal confrontarsi. Spazio quindi nella terza parte del volume, intitolata Architettura, storia e narrazione, a riflessioni sul “territorio dell’architettura”, sul linguaggio e gli spunti da mutuare dalle altre forme d’arte perché, a prescindere dall’applicazione delle regole esposte, non si può pensare di ridurre l’architettura a formula ovunque valida, a un oggetto da calare indifferentemente in qualsiasi contesto. Come fanno ahinoi tante archistar contemporanee che – proseguendo il parallelismo con la letteratura – sembrano così rinunciare a “una condizione interpretativa per rapporto ad un con-testo antropogeografico e disciplinare, cioè ad un testo preesistente, come valori strutturali di ricerca critica di ogni forma significante della tradizione della nostra pratica artistica e del suo stato presente” (pag. 141).
I racconti del progetto, pur proponendosi come un prezioso alleato per semplificare la pratica professionale, mostrando il percorso migliore per evitare oziose speculazioni teoriche o mercanteggiamenti su elementi estetici, offre anche un bilancio sullo stato dell’architettura contemporanea. Come sempre la lucidità di giudizio di Vittorio Gregotti colpisce impietosa, senza lasciare dubbio alcuno su quale siano l’argomento e l’oggetto delle sue critiche. Ci sembra pertanto inutile il contributo esplicativo recato dal saggio di Guido Morpurgo, posizionato in chiusura della raccolta di racconti. Forse sarebbe stato preferibile destinare un simile testo a una pubblicazione altra, a un periodico dedicato a critica e recensioni letterarie.

Silvana Costa

I racconti del progetto
di Vittorio Gregotti
con uno scritto di Guido Morpurgo
Skira, 2018
15 x 21 cm, 160 pagine, brossura
prezzo: 19,00 Euro
www.skira.net

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