Spiritualità con allegria

Moni Ovadia – con il suo Registro dei peccati – apre la Stagione del Teatro di Buti. Fra canti e racconti anche un invito ad andare oltre le logiche dello spettacolo.

Come le figure di Chagall che si librano a metà strada fra cielo e terra, in un’esplosione di colori, i mistici chassidici incarnano la frase di Teillard de Chardin, secondo la quale in realtà siamo esseri spirituali calati in un’esperienza materiale – e non il contrario.
Sorto a metà del Settecento in Polonia, il Chassidismo è un movimento mistico ebraico, espressione del sentire di un popolo che viveva in condizioni talvolta disperate, perseguitato, ma in grado di dare vita a una riflessione sull’essere umano e su Dio profondamente libera e gioiosa, in cui è centrale la consapevolezza del male, della debolezza e della fragilità dell’uomo e, insieme a essi, della sua bellezza. In questa visione, Dio permea di sé tutto il creato e amarlo significa anche amare tutte le sue creature; ovvero, avere pietà di ogni sua manifestazione. Glorificarlo e celebrarlo vuol dire vivere pienamente, godere dell’esistenza e accettarsi.
Il racconto, il canto e l’umorismo sono tre aspetti fondamentali di questa capacità di librarsi fra cielo e terra e attraverso queste tappe si snoda il viaggio che Moni Ovadia intraprende nel mondo chassidico.
Andando in ordine, quindi, si parte dal racconto, che caratterizza da sempre il popolo ebraico, grande narratore di storie (a cominciare dalla Bibbia), ed è elemento fondamentale della spiritualità chassidica. Non a caso, si favoleggia che una volta si perse memoria degli esatti riti con i quali si poteva salvare il popolo dal male e che fu proprio la capacità di raccontare a proteggerlo.
Il canto, a sua volta, è una forma di espressione naturale, attraverso la quale si celebra il creato e, al tempo stesso, si gode di esso. Non si canta per emulare una pop star o per dimostrare la propria bravura, bensì per godere del suono, per manifestare la propria spiritualità, per pregare.
Infine, l’ultima tappa: il riso. Elemento questo, in realtà, sotteso a tutta la visione dell’uomo diffusa dal chassidismo (ma che appartiene da sempre alla cultura ebraica a partire da Abramo e da suo figlio Isacco, che in ebraico significa “riderà”), L’umorismo è inteso come una forma di autoironia e levità, un non prendersi sul serio che trova origine nella consapevolezza dei propri limiti. Un umorismo, quindi, il cui scopo non è tanto quello di fare ridere, dissacrare o scandalizzare, ma di mettere in discussione, aprire una breccia in favore del libero pensare, opponendosi all’ortodossia e alle logiche oppositive, difendendo la dignità e il diritto di ogni posizione. Esso è strumento di un pensiero che si interroga anche su Dio e lo mette in discussione, senza paura – amato dalla divinità per questo. Si tratta di una concezione che disarma la hybris dei religiosi: la presunzione di aver raggiunto una posizione che permetterebbe all’uomo cose che non sono alla sua portata, come la definizione di una verità unica e incontestabile. Contro la pretesa dell’infallibilità, si mostra il sorriso disarmante di chi ama un creato attraversato dal male e dai difetti e non si cura di altro. Si oppone all’univocità, un mondo in cui tutti hanno ragione – semplicemente perché non ha nessuna importanza sapere chi ce l’abbia e quale sia veramente.
Lo spettacolo di Moni Ovadia, interessante, piacevole e ricco di spunti, risulta talvolta dispersivo: molti dei racconti e degli aneddoti rimangono citazioni che non sembrano funzionali al viaggio che si vuole compiere, rendendo quindi la performance un po’ lunga e il viaggio stesso, intervallato da troppe tappe fuori percorso, lascia lo spettatore smarrito.
Si tratta, in ogni caso, di un affascinante percorso di riflessione sulla spiritualità che, diversamente dal credo religioso, riguarda tutti indistintamente, in quanto interessa l’essere umano e la sua personale ricerca interiore, che si nutre di dubbi e domande. In tempi in cui la religione, l’ortodossia e soprattutto il fondamentalismo scatenano tutta la loro violenza, Ovadia rivendica il posto che spetta all’individuo di chiedere ragione a Dio e agli uomini, senza correre il pericolo di subire violenza.
L’autore/attore, che è stato talvolta accusato di raccontare storie antisemite, precisa che in realtà racconta storielle che appartengono alla cultura ebraica: non solo è lecito, ma anche normale, mettere in discussione tutto. Contro l’idolatria, Ovadia ci offre un’esperienza mistica che mette in crisi l’ortodossia clericale e “smaschera la miseria dei baciapile”.

Mailè Orsi

Lo spettacolo è andato in scena:
Teatro Francesco di Bartolo
via F.lli Disperati, 4 – Buti (Pisa)
13 gennaio 2015
www.teatrodibuti.it
 
Registro dei peccati
Rapsodia lieve per racconti, melopee, narrazioni e storielle
Recital-reading sul mondo khassidico
di e con Moni Ovadia
una produzione Promo Music
www.moniovadia.net

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