Tamara De Lempicka

La mostra in corso a Torino presenta una de Lempicka più intima e segreta, da esplorare come se si viaggiasse in universi paralleli, spesso in stridente contrasto tra loro.

Torino, la città degli eleganti caffè Art Decò dedica, sino a fine agosto, una mostra a Tamara de Lempicka, una delle più fulgide icone degli anni Venti e Trenta. A Palazzo Chiablese una ricca selezione di dipinti, disegni fotografie e filmati d’epoca racconta la straordinaria vita di una pittrice che attraversa un secolo con glamour, grazia e talento, trasformando ogni suo giorno in un’opera d’arte.
Gioia Mori, la curatrice della mostra, pone la celeberrima Ragazza in verde (1930-1931) in apertura del percorso di visita, lasciandoci intendere quali capolavori ci attendano nelle sale seguenti ma, prima di mostrarli, ci tiene a presentare la loro creatrice. Nella prima sezione, I mondi di Tamara de Lempicka, seguiamo gli spostamenti di quest’anima inquieta dal 1916 quando, in fuga dalla rivoluzione russa, si rifugia a Parigi al 1980, anno della sua morte nel buen retiro di Cuernavaca, in Messico. Rimbalzando continuatamente da una riva all’altra dell’Atlantico, visitiamo dove vive e lavora e vediamo i volti delle persone che conosce o frequenta. Per ogni tappa, la sua vita viene messa in relazione con l’evoluzione del suo modo di fare arte, dai delicati acquerelli adolescenziali allo stupore per le luci della Strada nella notte (1923 circa) a Parigi; dagli atelier, arredati dalla sorella Adrienne con i mobili dei designer in voga all’epoca, alla grande villa coloniale di King Vidor, progettata dall’architetto Wallace Neff, dove incontra Francis Scott Fitzgerald e la moglie Zelda. Sono inoltre elencate le principali tra le 114 esposizioni cui la Lempicka partecipa nel corso della sua carriera; tra queste contiamo: 42 presenze ai Salon parigini, 16 mostre personali e 56 collettive. Nel 1925, anche grazie alla sua amicizia con Marinetti, si tiene a Milano per la prima personale di Tamara de Lempicka alla Bottega di Poesia, la galleria del conte Castelbarco: i trenta dipinti e i diciotto disegni esposti testimoniano la padronanza di un linguaggio ormai colto e complesso eppure non convincono sino in fondo il critico Piero Torriano che scrive la prima – e negativa –recensione su questa “artista polacca”.
Lo stile di Tamara de Lempicka è il tema della seconda sezione, Madame la Baroness, Modern medievalist: titolo mutuato da un articolo di inizi anni Quaranta che loda il virtuosismo tecnico di una pittrice che trova l’apice nelle nature morte. Qui, prendendo come esempio il tema della rosa, possiamo vedere l’evoluzione dello stile, dagli acquerelli datati 1914 ai piccoli oli del 1938 in cui il fiore sembra acquistare una straordinaria tridimensionalità; sulla parete di fianco spicca invece Coppa di frutta I (Frutta su fondo nero) (1949) dal deciso sapore caravaggesco. In questa sezione viene realizzato il desiderio della Lempicka degli anni Quaranta di voler fare una mostra interamente costituita da dipinti che raffigurassero le mani, lo strumento che ci consente di dar vita a quello che la mente ispira e crea. Di fianco a Mani e fiori (1949) sono esposte alcune fotografie di Kertész, Kollar, Dora Maar su questo tema, scattate alla fine degli anni Trenta per una rivista di moda parigina che, probabilmente, l’artista ha avuto modo di sfogliare.
Anche The Artist’s Daughter, titolo della sezione successiva, dedicata alla figlia Kizette – avuta dal primo marito, l’avvocato Tadeusz Lempicki – riprende il titolo di un articolo statunitense pubblicato nel 1929. I ritratti della bambina, con il suo taglio spettinato e lo sguardo intrigante, sono un emblema di grazia e infantilità ma, al contempo, anche di provocante seduzione: per La comunicanda (1928), causa lo sguardo tra l’estatico ed il seduttivo della protagonista, la critica dell’epoca arriva infatti ad interrogarsi se la colomba raffigurata nella composizione sia un simbolo dello Spirito Santo o di Venere. In questa sezione è esposto anche Il risveglio del piccolo principe (1943 circa), chiaramente ispirato all’opera di Antoine de Saint-Exupéry, autore di cui riprende il delizioso stile naif nei tratti del disegno.
A ritratti celeberrimi e premiati quali Kizette al balcone (1927) si contrappone, nella sala successiva, la produzione di quadri devozionali, poco noti poiché concepiti da Tamara de Lempicka per un uso personale, intimo e segreto. Anche qui, in realtà, il confine tra il sacro e il profano è molto labile: nel percorso infatti alla Vergine blu (1934) – in cui riconosciamo i tratti classici dell’iconografia mariana consistenti nell’uso delle sfumature del cielo per le vesti e nella dolcezza dello sguardo – è accostata la figura pagana D’après “Sibilla libica” (1937 circa) ripresa dalla Cappella Sistina di Michelangelo. Proseguendo, in un piccolo spazio che sembra congeniale per la meditazione è collocato il quadro preferito dall’artista, l’opera cui ciascun ospite doveva rendere omaggio (una fotografia di Nicholas W. Orloff ritrae Tamara de Lempicka nell’atto di mostrarla a Salvador Dalí il 18 aprile 1941): Madre superiora (1935 – 1939), l’intenso ritratto, realizzato a memoria, di una suora conosciuta in un convento vicino a Parma che sul suo volto pare recare i segni di tutta la sofferenza del mondo.
Il percorso non smette di stupirci e ci mostra nuovamente il volto mondano di Tamara de Lempicka che, sedotta dalla moda, sin dagli anni Venti si presta come modella per i suoi couturier preferiti ed attinge alle loro collezioni per rivestire le protagoniste dei quadri. Sulle copertine di riviste femminili in ogni angolo del mondo vengono pubblicate la Ragazza in verde, l’abito blu svolazzante del Ritratto di Mme Ira P. (La musicista) (1933 presente in mostra con un’acquatinta, copia del dipinto trafugato nel 2009) o quello bianco con panneggio sul fianco del ritratto del 1930, sempre indossato dalla sua amante, Ira Perrot. Molte delle protagoniste delle opere qui esposte hanno pose e atteggiamenti che ricordano le mannequin degli atelier di moda che vediamo sfilare nei filmati d’epoca proiettati sulla parete di fronte alla teca con gioielli, mantelli e cappelli appartenuti a Tamara. Completano la sezione numerose fotografie in bianco e nero che ritraggono una Lempicka sofisticata, misteriosa e vagamente androgina con la luce che scolpisce il volto spigoloso alla Marlene Dietrich o Greta Garbo.
Dalla tecnica fotografica Tamara de Lempicka mutua la consuetudine di moltiplicare le fonti luminose disseminate nello studio per permettere alla luce di definire i volumi e accarezzare la pelle setosa delle sue modelle. Accorgimenti che esaltano i corpi protagonisti della sesta sezione, Scandalosa Tamara, dedicata alla rappresentazione dell’amore di coppia: da quello eterosessuale del timido disegno a matita D’après “Il bacio” di Hayez (1922 circa) alle emozionanti coppie di “amazzoni” tra cui l’imponente Prospettiva (Le due amiche) (1923), una delle poche opere salvate da Carrà tra quante esposte a Milano nel 1925. Gli anni Venti, per ironia, erano molto più liberali di questa nostra epoca moderna e a turbare la comune decenza non era l’amore omosessuale – in sintonia con letteratura e teatro dell’epoca – quanto la visione dei copri nudi di Adamo ed Eva riprodotto nel 1932 sul manifesto dello spettacolo Sexualitè.
Di fianco ad una copia di scuola manierista fiorentina di Venere e Amore di Pontormo – il principale riferimento iconografico per i nudi della Lempicka – trionfa il corpo giunonico de La bella Rafaëla (1927), una sorta di moderna Venere dai capelli à la garçonne, distesa su cuscini e illuminata da un fascio di luce cravaggesca. Il primo ritratto eseguito a questa ragazza – incontrata casualmente al Bois de Boulogne nel 1927 e per un paio di anni eletta sua modella preferita – è  La sottoveste “rosa” (1927) il quadro che, dopo anni di oblio, nel 1972 diviene il simbolo della riscoperta di un’epoca e di un’artista di primaria grandezza.
Questo il percorso proposto dalla curatrice ma, in realtà, ne esistono molti altri, paralleli, che ci portano ad approfondire aspetti tutt’altro che marginali della vita e dell’arte di Tamara de Lempicka. È interessante il rapporto con i fotografi per cui l’estrosa pittrice rappresenta un soggetto ghiotto per servizi sia sulla sua intensa vita mondana sia sulle superbe case atellier in cui abita; da loro la Lempicka mutua alcune soluzioni tecniche per rendere più suggestive le sue opere. Un altro percorso ci porta a cercare di individuare i riferimenti, più o meno evidenti,  ai maestri del passato in quadri resi unici e inimitabili proprio grazie alla commistione di antico e moderno. Sembra invece debitrice alle linee programmatiche del Futurismo la rappresentazione della città che spesso fa da sfondo ai ritratti: una città che sale e che, al contempo, è distorta nel tentativo di conferirle dinamicità; in questi panorami onirici l’architettura del passato, solida con i suoi muri in laterizio, si sposa ad edifici avveniristici, dalle pareti in materiali specchianti.
Molte dunque le chiavi di lettura per scoprire alcune delle mille sfaccettature di una grande protagonista del XX secolo, oggi amata e portata – quasi banalmente – a simbolo di anticonvenzionalità.

Silvana Costa

La mostra continua:
Palazzo Chiablese
piazzetta Reale – Torino
fino a domenica 30 agosto 2015
orari lun 14.30‐19.30; mar, mer, ven, sab, dom 9.30‐19.30; gio 9.30‐22.30
il servizio di biglietteria termina un’ora prima della chiusura
www.poloreale.beniculturali.it
 
Tamara De Lempicka
a cura di Gioia Mori
una mostra Comune di Torino – Assessorato alla Cultura; Segretario Regionale del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo per il Piemonte; Polo Reale di Torino; 24 ORE Cultura – Gruppo 24 Ore; Arthemisia Group
allestimento Paolo Capponcelli e Cesare Mari, PANSTUDIO architetti associati
www.mostratamara.it
 
Catalogo:
Tamara De Lempicka
a cura di Gioia Mori
24 ORE Cultura – Gruppo 24 ORE, 2015
28×32 cm, 320 pagine, 200 illustrazioni, cartonato
prezzo 42,00 Euro
www.24orecultura.com

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