Etruschi del Novecento

Il processo di rottura con gli accademismi e la tradizione che sin dall’Ottocento scuote il panorama artistico internazionale, a inizio Novecento, complici importanti ritrovamenti archeologici, trova nell’estetica anticlassica dell’arte etrusca un’importante fonte di ispirazione. La nuova mostra della Fondazione Luigi Rovati approfondisce l’argomento accostando reperti antichi e opere moderne a evidenziarne l’importante apporto ispirazionale.

Etruschi del Novecento è il titolo della mostra inaugurata lo scorso 2 aprile al Museo d’Arte della Fondazione Luigi Rovati, proposta quale ponte ideale tra due importanti eventi succedutisi in quel periodo a Milano: l’Art Week e la Design Week. Le opere esposte infatti mettono in evidenza la forte influenza esercitata dai reperti di età etrusca sugli artisti, i designer e i grafici italiani nel corso del XX secolo. La mostra prosegue sino a domenica 3 agosto.
L’esposizione rientra nel progetto omonimo Etruschi del Novecento, di più ampio respiro, ideato da Lucia Mannini, Anna Mazzanti, Giulio Paolucci e Alessandra Tiddia che, prima della mostra in corso a Milano, ne hanno curato una diversa ma complementare ospitata dal 7 dicembre al 16 marzo al MART di Rovereto.
L’interesse per la civiltà etrusca si sviluppa prepotentemente a partire da fine Ottocento grazie a campagne di scavo che riportano alla luce eccezionali reperti, primi tra tutti il sarcofago degli sposi (VI secolo a.C.), ritrovato in frantumi – poi magistralmente ricomposti – nel 1881 in una necropoli presso Cerveteri, e l’Apollo di Veio (fine VI secolo a.C.), entrambi esposti al Museo nazionale etrusco di Villa Giulia a Roma.
Un fascino che regge al trascorrere dei decenni come racconta la scultura Amanti antichi (1965) di Leoncillo Leonardi che cattura immediatamente l’attenzione del visitatore non appena varca l’ingesso della sezione ipogea del Museo. Impossibile non ricollegare i volumi di quella scultura astratta con quelli del sarcofago cui si ispira anche Gli amanti (1927/28) di Francesco Messina. Poco oltre il Leone di Monterosso (1933/35) di Arturo Martini – presente in una versione in bronzo e in una in terracotta – e il Leone urlante (1957) di Mirko Basaldella, collocato all’ingresso, richiamano uno dei soggetti ricorrenti dell’iconografia etrusca: la chimera.
Un accostamento tra antico e moderno reiterato lungo l’intero percorso di visita che si snoda sotto le tre cupole del Museo ipogeo progettato dall’architetto Mario Cucinella ispirandosi alle tombe di Cerveteri. Percorso che si sviluppa per tappe, ciascuna contraddistinta da una differente tipologia di oggetti.
Una particolare lavorazione dell’oro per esempio accomuna fibule, orecchini e collane forgiate tra l’VIII e il IV secolo a.C. agli orecchini Tracce (1975) di Fausto Melotti e al bracciale con incisioni tribali (1950 circa) di Afro Basaldella.  Quest’ultimo inoltre fa da modello al fratello Dino per il ritratto (1930/31) esposto tra la folta schiera di teste in terracotta che spaziano da ex voto a fedele riproduzione delle fattezze dei committenti (I e II secolo a.C.) alle Teste (1978) della serie Il sorriso verticale della gioconda di Roberto Matta. Spiccano per particolare pregio le teste di Bellerofonte (ultimo quarto V secolo a.C.), attribuita alla scuola di Vulca e rinvenuta presso il Tempio dell’Apollo a Veio, e di Dicomana (1921) di Arturo Martini. Oltre due millenni separano tra loro le sculture qui esposte eppure, complice l’utilizzo dello stesso materiale, è necessario avvicinarsi alle teche e leggere le didascalie per attribuire ciascuna di esse all’epoca corretta.
È invece più semplice collocare correttamente lungo la linea del tempo gli oggetti esposti nella sezione adiacente dedicata al vasellame. La perfetta corrispondenza di stile e materiali si tramuta qui in un gioco di raffinate rielaborazioni dei modelli di riferimento come quello operato da Gio Ponti quando direttore artistico di Richard-Ginori (1923/33). La cista, un voluminoso contenitore cilindrico utilizzato per contenere la dote della futura sposa, è riproposto da Ponti quale importante oggetto d’arredo. In mostra sono esposte affiancate una cista in bronzo finemente incisa, risalente al IV-III secolo a.C., due esemplari firmati da Ponti (1926/27) e a uno ideato da Guido Andloviz (1928/30) per la Società Ceramica Italiana di Laveno sull’onda del successo riscosso da Ponti. I visitatori possono qui apprezzare il raffinato gioco di assonanze e rivisitazioni in chiave Art Decò: il bronzo cede il posto alla porcellana, le incisioni alla figura campita con oro, l’episodio mitologico che si sviluppa lungo tutta la superficie dell’esemplare di età etrusca a figure che citano l’antichità attraverso i suoi monumenti e i suoi eroi. Le ciste di Gio Ponti vengono insignite del Grand Prix all’Exposition des arts décoratifs et industriels modernes di Parigi del 1925, l’evento che rappresenta, da un lato, il punto d’arrivo di diverse declinazioni nazionali dello stile moderno e, dall’altro, la sua codificazione, guidata dalla Francia, con il nome di Art Déco.
Il gioco di rimandi si ripete con i vasi a due colli di Gio Ponti (1924/27) e Tomaso Buzzi (932/33) e l’askos in ceramica del X-IX secolo a.C.; con il vaso a due manici di Andloviz (1930) e l’ossuario biconico (IX secolo a. C.) o, ancora, con i vasi della serie Circo sempre di Ponti (1924) e l’olla biansata (prima metà del VII secolo a.C.).

L’esposizione prosegue al Piano Nobile del Palazzo dove è ospitata The Etruscan Scene: Female Ritual Dance (1985) di Andy Warhol, ispirata ai disegni nella tomba delle Leonesse di Tarquinia. L’opera, accompagnata da una coppia di disegni preparatori, è parte della collezione permanente, a testimonianza dell’interesse dei curatori del Museo non solo per l’arte etrusca ma pure per l’ispirazione che ancora oggi questa raffinata civiltà riesce a infondere negli artisti. La Sala Warhol accoglie volumi d’arte, riviste, opere grafiche e manifesti dedicati agli etruschi. Tra le copertine cattura l’attenzione quella del numero 1789 del 18 gennaio 1985 di Epoca, dedicata al Progetto Etruschi, che poi  si ritrova più avanti, nello Spazio Bianco, tra quante selezionate da Alighiero Boetti per Copertine,1985, un’opera inedita della collezione della Fondazione Luigi Rovati.
Nelle altre sale del Piano Nobile è inoltre possibile ammirare due versioni in bronzo del Busto di Inge (1966 e 1967 circa) di Giacomo Manzù che, nelle forme tondeggianti del busto, strizzano l’occhio al canopo destinato ad accogliere le spoglie di un guerriero (inizio VI secolo a.C.). Poco oltre le polaroid della serie Etruschi (1984) di Paolo Gioli conferiscono una nuova vita a alcuni dei  volti di etruschi raffigurati sulle urne cinerarie o nei monumenti funebri. Una testa di fanciulla (1942) realizzata da Lucio Fontana è invece accostata a quella di un sacerdote shintoista (IV-VI secolo d.C.) proveniente dal Giappone, alla raffigurazione cinese di uno Spirito Chu (IV-III secolo a.C.) e a una figura femminile seduta proveniente dal Messico (III scolo a.C. – III secolo d.C.) per abbracciare in un ideale viaggio attorno al mondo diversi stili di rappresentazione della figura umana.

I curatori della mostra invitano a visitare anche altre due importanti istituzioni milanesi per ampliare la riflessione sull’influenza degli etruschi sull’arte del Novecento: Villa Necchi Campiglio e Museo del Novecento, prestando particolare attenzione a L’amante morta (1921/22) di Arturo Martini e al Popolo (1929) di Marino Marini. Si aggiunge a tale elenco anche la mostra Art Déco. Il trionfo della modernità aperta a Palazzo Reale fino al 29 giugno dove ampio spazio è dato al lavoro svolto da Gio Ponti per Richard-Ginori.

Sabato 14 e domenica 15 giugno nella sala convegni del Museo è in programma Cinetrusco un ciclo di proiezioni curato dall’archeologo e docente Maurizio Harari per raccontare il mondo etrusco nel cinema. Si rimanda al sito della Fondazione per il programma dettagliato.

Silvana Costa

 

La mostra continua:
Fondazione Luigi Rovati
Museo d’Arte
corso Venezia, 52 – Milano
fino a domenica 3 agosto 2025
orario: mercoledì – domenica ore 10-20
ultimo ingresso ore 19
chiuso lunedì e martedì
www.fondazioneluigirovati.org

Etruschi del Novecento
a cura di Lucia Mannini, Anna Mazzanti, Giulio Paolucci, Alessandra Tiddia

Catalogo:
Etruschi del Novecento
a cura di Lucia Mannini, Anna Mazzanti, Giulio Paolucci, Alessandra Tiddia
con testi di Matteo Ballarin, Fabio Belloni, Martina Corgnati, Alessandro Del Puppo, Maurizio Harari, Claudio Giorgione, Mauro Pratesi, Nico Stringa
Fondazione Luigi Rovati, 2024
24×26 cm, 424 pagine, oltre 400 immagini a colori
prezzo 40,00 Euro