A Palazzo Reale di Milano una mostra rievoca i fasti dell’Art Déco a cent’anni dall’Esposizione Universale di Parigi che ne sancisce il successo a scala mondiale e premia la creatività di Gio Ponti.
L’Art Déco si diffonde in Europa nel periodo immediatamente precedente alla I Guerra Mondiale. È uno stile che, traendo ispirazione dalla geometrizzazione operata dai movimenti di avanguardia, si contrappone alle volute e alle forme organiche dell’Art Nouveau, auspicando un ritorno al rigore classico sul modello della Secessione viennese. Il nome deriva da una contrazione di Exposition des arts décoratifs et industriels modernes, l’esposizione universale inaugurata il 28 aprile 1925 a Parigi, un’eccezionale vetrina per le industrie del lusso europee, visitata da oltre 16 milioni di persone. Evento che consente alla Francia di consolidare il proprio ruolo di arbitro del gusto internazionale e del commercio.
Comune di Milano, Palazzo Reale e 24 ORE Cultura, a cento anni di distanza, ricordano il successo dell’esposizione che marca il punto più alto raggiunto all’Art Déco organizzando a Palazzo Reale la mostra Art Déco. Il trionfo della modernità. La mostra è curata da Valerio Terraroli, esperto di arti decorative tra Settecento e prima metà del Novecento, ed è visitabile fino a domenica 29 giugno.
Quattordici sezioni raccontano l’epopea dell’Art Déco dalle origini all’epilogo, quando sostituita dal più austero e monumentale stile Novecento. Lungo il percorso di visita sono molti gli approfondimenti tematici per illustrare le tante declinazioni dell’Art Déco, sia nel campo dell’artigianato e dell’arte, sia nella produzione industriale, mettendo inoltre a confronto la produzione italiana con la francese e l’austriaco-tedesca.
In Italia il fenomeno Art Déco furoreggia grosso modo tra il 1920 e il 1930: le sue componenti di glamour, fasto, lusso e gioia di vivere ben si sposano con il desiderio della borghesia di dimenticare in fretta gli orrori della guerra. All’imporsi di un nuovo regime improntato sul rinverdimento dell’iconografia dell’antica Roma, la leziosità viene sostituita da linee severe e asciutte, i decori acquisiscono una forte carica ideologica mentre l’architettura assume proporzioni monumentali.
Tramontato in Europa, lo stile Art Déco negli anni Trenta furoreggia in America, complice l’impiego di maestranze italiane e francesi: risalgono a quel decennio il Chrysler Building e l’Empire State Building a New York, alcune delle più spettacolari ville hollywoodiane oltre a grandi magazzini, cinema e teatri.
I visitatori sono accolti all’ingresso della mostra dalla riproduzione di un dirigibile, emblema della modernità e dell’innovazione tecnica per quanto solo alle classi più abbienti sia concesso fruirne per compiere lunghi ed esclusivi viaggi in Europa e oltre oceano. La guerra ha infatti impresso un forte impulso a settori quali l’aereonautica e i trasporti in genere, la meccanica, la chimica e le comunicazioni a grande distanza. L’adozione di nuovi modelli di organizzazione del lavoro inoltre permette l’ottimizzazione dei processi industriali favorendo la crescita della produttività e la riduzione dei costi, dando l’avvio al fenomeno sociale ed economico del consumo di massa.
Nella stessa sala un pannello propone un itinerario alla scoperta di pregevoli esempi di architettura Déco presenti in città per apprendere, da un lato, le diverse varianti dello stile e, dall’altro, le peculiarità della declinazione milanese. La lista include palazzi per abitazioni e case singole – tra cui Villa Necchi Campiglio –, il Padiglione Reale alla Stazione Centrale, cinema, centri sportivi, sedi di istituzioni e monumenti tra cui alcuni di quanti presenti al Cimitero Monumentale.
Poco distante da Milano, alla Villa Reale di Monza, Guido Marangoni nel 1923 organizza la prima delle Biennali cui si registra una forte partecipazione di rappresentanze nazionali; nel 1927 viene esposto il monumentale Centrotavola per le Ambasciate d’Italia (1925/27) creato da Gio Ponti e Tomaso Buzzi per Richard-Ginori; nel 1930 la IV edizione – divenuta nel mentre triennale – anticipa gli elementi dello stile Novecento; le edizioni successive si svolgeranno a Milano nella nuova sede affacciata sul parco Sempione progettata da Giovanni Muzio.
A Monza così come a Parigi e, ora, a Milano è possibile ammirare accostati tra loro elementi d’arredo eterogenei, dalla scrivania di forma pentagonale con fronte ornato da decorazioni fitomorfe e uccelli (1922/23) di Ettore Zaccari, a piatti e coppe in argento finemente cesellato di Renato Brozzi (1924); dalle vetrate policrome con intelaiatura in piombo di Galileo e Tito Chini (1924/25) alla grande innovazione dei vetri soffiati di Murano declinati nelle tonalità ametista, giallo, azzurro, verde e blu ideati da Vittorio Zecchin; dai vasi in porcellana della Manufacture Nationale de Sèvres a quelli in rame decorato con smalto di Camille Fauré (1925). Un posto d’onore in mostra lo occupa la produzione di Gio Ponti per la Società Ceramica Richard-Ginori presso cui ricopre il ruolo di direttore artistico dal 1923 al 1933. Cattura prepotentemente l’attenzione la serie ispirata all’arte etrusca, insignita del Grand Prix all’esposizione di Parigi del 1925: a tal proposito si segnala la mostra Etruschi del Novecento in corso alla Fondazione Luigi Rovati di Milano per vedere alcuni dei pezzi di quella collezione messi in dialogo con gli originali cui si ispirano per cogliere appieno il raffinato gioco di assonanze e variazioni messo in atto da Ponti.
Le creazioni ispirate all’arte etrusca sono frutto dell’entusiasmo conseguente al ritrovamento nel 1916, presso la necropoli di Veio, della strepitosa statua di Apollo (fine VI secolo a.C.). Molte altre sono le suggestioni alla base dei filoni tematici presentati da Valerio Terraroli a Palazzo Reale, alcuni, proprio come accade con la civiltà etrusca, legati al fascino dell’esotico, della curiosità – indubbiamente frutto di una mentalità ancora colonialista – per genti e culture di terre lontane. In tale ottica si inseriscono i disegni di Paul Colin pubblicati nel 1929 nel volume Le Tumulte Noir, ispirati ai musicisti jazz e allo spettacolo La Revue Nègre in cui Joséphine Baker esegue la provocatoria danse sauvage indossando solamente un gonnellino di banane. Citano invece l’oriente le sculture Danzatrice del tempio (1923) di Mario Dante Zoi, Corteo orientale (1927) di Francesco Nonni e Anselmo Bucci o Shéhérazade – Danza persiana (1920/25) di Demetre Chiparus, quest’ultima realizzata sull’onda del successo del balletto omonimo messo in scena a Parigi nel 1910 dai Ballets Russes, compagnia cui di deve anche la diffusione della tradizione slava in Europa occidentale.
Altra fonte di stupore è la natura selvaggia con i suoi spietati meccanismi selettivi: i corpi sinuosi dei grandi felini sono riprodotti in varie pose e con varie tecniche come, per esempio, il mosaico Pantera nera lotta con un pitone (1932) di Pierre-Paul Jouve e Pierre Gaudin, il bronzo Pantera di Giava (1925) di Louis-Albert Carvin o, ancora, la maiolica Pantera nera (1930 circa) di Riccardo Gatti.
Tematiche che, come racconta la serie di sculture e pezzi d’arredo di grande pregio giunti in prestito dal Vittoriale ed esposti nella sezione Esotismi: Gabriele d’Annunzio tra natura e mito intorno al 1925, catturano l’attenzione del Vate. La sezione, tra le tante tematiche e i molti stili, comprende anche alcune opere ispirate ai miti classici tra cui il bronzo Diana saettante con piccole antilopi (1925) di Marcel Bourin qui citato, da un lato, a ribadire l’immarcescibile attrazione dell’epoca per le culture greca e romana – seppur con diverso stile – e, dall’altro, utile al curatore a introdurre la questione dell’emancipazione femminile. Un processo di emancipazione che riceve dalla guerra una forte spinta, incrementando l’ingresso nel mercato del lavoro delle donne e promovendo un loro ruolo più attivo nella società. Un cambiamento cui segue una rivoluzione nel vestiario: via gonne lunghe e bustini che limitano i movimenti, basta pettinature elaborate la cui realizzazione richiede molto tempo, spazio quindi a tuniche dritte con orli corti e senza maniche mentre i capelli vengono tagliati à la garçonne.
L’allestimento firmato da Madeof… Studio con il contributo di Francesco Murano per gli aspetti illuminotecnici è inteso a creare un percorso suggestivo che enfatizzi i materiali pregiati con cui sono realizzate le opere esposte. Nelle prime sale del percorso di visita le opere d’arte emergono dalla penombra grazie a un sapiente di gioco di luci che, riflettendosi sulla porcellana dei vasi, sui decori dorati, sull’argento dei vassoi o sul legno lucidato a specchio, le fanno brillare come stelle. Le sale successive presentano soluzioni meno teatrali per assumere, in particolar modo per L’amore per l’antichità, la sezione monografica dedicata al connubio creativo tra Gio Ponti e Richard-Ginori, i toni eleganti e raffinati di una sala da pranzo della ricca borghesia.
Indovinata è la scelta di proiettare nelle sale, su schermi incorniciati con eleganti decorazioni geometriche in puro stile Art Déco, spezzoni di film a raccontare il glamour e la gioia di vivere dell’alta società dell’epoca.
La mostra è accompagnata da un ricco catalogo edito da 24 ORE Cultura.
Silvana Costa
La mostra continua a:
Palazzo Reale
piazza Duomo, 12 – Milano
fino a domenica 29 giugno 2025
orari martedì-domenica 10.00-19.30
giovedì 10.00-22.30
lunedì chiuso
ultimo ingresso un’ora prima della chiusura
www.palazzorealemilano.it
Art Déco
Il trionfo della modernità
a cura di Valerio Terraroli
una mostra Comune di Milano – Cultura, Palazzo Reale e 24 ORE Cultura
progetto di allestimento Madeof… Studio
progetto illuminotecnico Francesco Murano
immagine coordinata a grafica Alessandro Ceci
Catalogo:
Art Déco
Il trionfo della modernità
a cura di Valerio Terraroli
24 ORE Cultura, 2025
23 × 28 cm, 288 pagine, 250 immagini, brossura con alette lunghe
prezzo: 36,00 euro
www.24orecultura.com