Alla vigilia del debutto milanese di Crisi di nervi. Tre atti unici di Anton Čechov al Teatro Menotti Peter Stein racconta l’approccio a questo nuovo lavoro.
Abbiamo incontrato Peter Stein a Milano in occasione della presentazione del nuovo spettacolo, affrontato nella duplice veste di regista e, insieme a Carlo Bellamio, di traduttore del testo. È quest’ultimo aspetto del suo lavoro quello che più ci incuriosisce e, al termine della conferenza stampa, abbiamo avuto l’opportunità di approfondirlo con lui.
Come nasce l’idea o, meglio, l’esigenza di realizzare una nuova traduzione di questi tre vaudeville di Čechov, i più noti forse proprio perché tra i più rappresentati?
Peter Stein: «Questa è la mia prima traduzione, un lavoro complesso realizzato insieme al mio assistente, Carlo Bellamio: è lui che parla l’italiano perfettamente, il mio italiano invece è sempre un po’ “da crucco”. Per capire un testo è bene conoscere come questo sia stato restituito in altre traduzioni: abbiamo consultato traduzioni italiane, traduzioni inglesi, traduzioni tedesche, traduzioni francesi. In più io conosco abbastanza il russo e ho così potuto controllare precisamente l’originale: è chiaramente un lavoro importantissimo, perché ogni traduzione in un certo senso distrugge l’opera, elimina molte cose con brutalità, molti dei sottotesti. Noi abbiamo cercato di avvicinarci il più possibile a questi testi e il più importante è come sempre il primo, il russo. Abbiamo tentato di russificare quanto più possibile la versione italiana: ho insistito per esempio con gli attori che i nomi russi che sono nei testi siano pronunciati bene e con potenza. Orso, per esempio, a un certo tempo fa un elenco “sono stato da Gruzdev, sono stato da Jaroševiè, sono stato da Kurycin, ….” e qui io insisto “dite queste parole precisamente e forte”. Noi sentiamo un po’ di russo nel testo, per esempio si dice “mamočka” per mamma o anche “babushka” e si capisce cosa intenda: possiamo quindi utilizzare le parole originali nel testo e russificare».
La vostra nuova traduzione, molto aderente al testo scritto in russo da Čechov, le permette quindi, in veste di regista, di far emergere i sottotesti?
P.S.: « Čechov insieme a Stanislavskij ha inventato – e anche sistematizzato – il famoso sottotesto. Che cosa vuol dire sottotesto? Sottotesto è quando dici delle parole che hanno un certo senso ma tu non vuoi dire questo. Non solo questo. Il sottotesto non è un testo scritto. “Io vado a destra” è un fatto ma la frase si può dire con tono gioioso a far capire che sono felice o in modo tristissimo, o in qualsiasi altro modo. La melodia della parola crea il sottotesto e chiaramente, quando si lavora con le emozioni, sul non detto delle parole, tutto è molto più interessante, è molto più bello da ascoltare. Io dico sempre che i più grandi attori sono capaci di esprimere tre cose nello stesso momento, anche se non hanno niente a che fare con il senso normale delle parole. Il monologo I danni del tabacco è un continuo esercizio di sottotesto e per questo è difficilissimo da realizzare. Per esempio, quando l’attore dice la frase, “trent’anni con mia moglie sono la cosa più meravigliosa del mondo” intende esattamente il contrario, non è felice ma non può andarsene».
Il non detto consente di avere però diversi modi di interpretazione del testo per il pubblico.
P.S.: «La possibilità di avere diversi livelli di lettura è la ragione per me per non attualizzare un’opera e lasciare che emergano i valori universali. È anche problematico fare L’Orso in jeans come si fa oggi perché i duelli non si fanno più, specialmente non con le pistolone. Adesso scatenano una shitstorm ma così, chiaramente, non si può fare Čechov. La stessa cosa vale anche per La domanda di matrimonio: non esiste più nessuno che metta il frac per chiedere la mano di una donna al padre. I due uomini parlano a lungo del frac e la scena sarebbe impossibile da attualizzare. Importanti sono invece le ragioni per cui ci si sposa: nell’Ottocento, più o meno come oggi, è difficile decidere di sposarsi perché sai bene che dopo sarai totalmente perduto, che questa donna ti distruggerà sicuramente. Faresti meglio a non sposarti ma devi farlo perché la società lo chiede».
È la contemporaneità dei temi che l’ha dunque spinta a cimentarsi di nuovo con Čechov?
P.S.: «I critici disperatamente cercano sempre, specialmente nel mio lavoro, la modernità che per loro vuol dire, per esempio, il terremoto a Napoli di questi giorni. Cercano disperatamente anche in questi pezzi di Čechov il racconto del suo presente ma quello che descrive Čechov sono gli elementi basilari della psicologia e dell’esistenza umana in questo mondo.
L’Orso è, per esempio, una storia che racconta il problema di un uomo che odia disperatamente l’amore delle donne, che non vuole mai più avere a che fare con loro ma nel momento in cui ripete “basta con questo, basta” si innamora della stessa donna che odiava. Cosa è questo? È la descrizione di un comportamento insito nel nostro DNA.
In I danni del tabacco c’è un uomo terrorizzato e totalmente distrutto dalla moglie e anche questo fa parte della nostra esistenza umana, non solo nell’Ottocento ma anche nel XX e nel XXI secolo. Nell’ultimo pezzo, La domanda di matrimonio, si parla della grande difficoltà a mettere insieme marito e moglie in quello che è il matrimonio. Čechov intende che nel matrimonio l’amore dovrebbe essere l’elemento basilare ma la società impone di sposarsi e non importa che i due abbiano caratteri totalmente diversi e che alla fine si picchino e litighino tutta la giornata e tutta la notte».
Grazie: a questo punto la curiosità di assistere a Crisi di nervi è grande.
Silvana Costa
Crisi di nervi
Tre atti unici di Anton Čechov
produzione Tieffe Teatro Milano e Teatro Biondo Palermo
regia Peter Stein
adattamento di Peter Stein, Carlo Bellamio
assistente alla regia Carlo Bellamio
con Maddalena Crippa, Alessandro Sampaoli, Sergio Basile, Gianluigi Fogacci, Alessandro Averone, Emilia Scatigno
scene Ferdinand Woegerbauer
costumi Anna Maria Heinreich
luci Andrea Violato
In scena al Teatro Menotti
via Ciro Menotti 11 – Milano
fino a domenica 9 giugno 2024
www.teatromenotti.org