Biennale Architettura 2023: le Corderie all’Arsenale

Il racconto di quanto visto alla Biennale di Architettura di Venezia inizia dalle installazioni alle Corderie dell’Arsenale.

Sabato 20 maggio è stata ufficialmente inaugurata la 18. Mostra Internazionale di Architettura di Venezia e resterà aperta al pubblico sino a domenica 26 novembre.
La curatela è affidata a Leslie Lokko, l’architetto di origini ghanesi che vanta docenze nei più prestigiosi atenei del mondo, accompagnate da importanti riconoscimenti per il contributo apportato all’insegnamento dell’architettura e inanellate a una ricca produzione di testi teorici e romanzi bestseller. Nel 2020 abbandona l’insegnamento per fondare – e dirigere – l’African Futures Institute, scuola di specializzazione in architettura, centro di ricerca e piattaforma di eventi pubblici sito ad Accra in Ghana. Al futuro guarda pure questa edizione 2023 della Biennale intitolata The Laboratory of the Future.
Leslie Lokko porta a Venezia una piacevole ventata di freschezza annunciando sin dalle prime interviste che “per la prima volta, i riflettori sono puntati sull’Africa e sulla sua diaspora, su quella cultura fluida e intrecciata di persone di origine africana che oggi abbraccia il mondo. Che cosa vogliamo dire? In che modo ciò che diremo cambierà qualcosa? E, aspetto forse più importante di tutti, quello che diremo noi come influenzerà e coinvolgerà ciò che dicono gli “altri”?” La risposta alla prima domanda è rintracciabile nelle installazioni create dagli architetti invitati a prendere parte alla Biennale mentre per i restanti quesiti ci si dovrà rimettere alla volontà dei visitatori di comprendere quanto mostrato loro e farlo proprio.
Rispetto agli anni passati si nota uno svecchiamento della manifestazione: la presenza preponderante delle nuove generazioni di professionisti è indice dell’apprezzamento della curatrice per la flessibilità tipica dei giovani, per il sapersi mettere in gioco nell’immaginare nuove – e talvolta inattese – strategie di sviluppo per un contesto in continua evoluzione, minato da pesanti problematiche sociali e ambientali. Strategie inattese proprio in virtù della capacità di mutuare la componente innovativa del proprio lavoro dalle tradizioni ancestrali e dalla comprensione di territorio e preesistenze. Un approccio ribadito, da un lato, dalla definizione dei partecipanti come “practitioner” imposta da Leslie Lokko e, dall’altro, dalla quasi totale assenza della consueta pletora di archistar, a loro volta  circondate da un sottobosco di archistarlette alla ricerca di riflettori, a reiterare idee ed esercizi di stile già noti.

L’ingresso alle Corderie da Campo de la Tana è marcato dalla stessa tonalità di blu che inonda il cielo prima dell’alba o dopo il tramonto, quando il sole è posizionato sotto la linea dell’orizzonte. Ogni cosa è illuminata da una luce strana che induce un intenso senso di malinconia, la stessa sensazione che, come cita la frase di Anatole France riprodotta sopra la porta, tutti i cambiamenti, anche i più desiderati,  portano con sé “perché ciò che lasciamo dietro è una parte di noi”.
Il percorso di visita all’interno dell’edificio si apre con The Square, una piazza ricavata nelle prime campate delle Corderie: immersi nella penombra, circondati dagli specchi che rivestono le pareti moltiplicando all’infinito lo spazio, i visitatori sono invitati a fermarsi, a riflettersi e riflettere. The Square si configura così come una camera di decompressione, dove depositare la zavorra dei pensieri quotidiani e, incalzati dalle scritte luminose che appaiono sugli specchi, concentrarsi sull’emergenza ambientale in corso, sugli effetti più a lungo termine e profondi rispetto a quanto immediatamente percepito. È un portale di collegamento tra gli sprechi del presente e le idee per un futuro che si spera possa essere più virtuoso.

Sono diversi i filoni tematici in cui si articola The Laboratory of the Future per quanto il principale sia il Futuro cui è dedicato quasi interamente lo spazio delle Corderie e parte del Padiglione Centrale ai Giardini. I contributi esposti sono molti: è impossibile dare a ciascuno di essi lo spazio che meriterebbe perciò la scelta qui adottata è raccontare alcuni di quelli che maggiormente hanno catturato la nostra curiosità, rimandando ai lettori il piacere di scoprire tutti i restanti.
La colonizzazione e la ricerca di materie prime, che prosegue imperterrita anche ai giorni nostri, accomunano tre installazioni. L’equadoregno Estudio A0 porta a Venezia l’eco delle civiltà precolombiane, insediate lungo il Rio delle Amazzoni e i suoi affluenti già cinquemila anni prima di Cristo, con una serie di dieci pannelli illustrati con lo stile dei graffiti rupestri che raccontano di sistemi urbani in perfetto equilibrio con l’ambiente naturale circostante, capaci ancora oggi, a distanza di migliaia di anni, di offrire interessanti modelli di riferimento. I pannelli, eseguiti con la tecnica del ricamo, descrivono i rapporti tra le singole abitazioni e quello con il grande fiume, la ricca varietà di piante della foresta, gli uccelli dal piumaggio variopinto, i felini in agguato e gli enormi rettili che popolano le acque del fiume mentre la figura umana è relegata in posizione marginale a indicare un ruolo sottomesso alle leggi dell’ambiente che la ospita.
Ci si sposta quindi dalla parte diametralmente opposta del Pacifico con Pilbara Interregnum: Sette Allegorie Politiche (2023) di Grandeza Studio. Pilbara è una delle nove regioni che formano l’Australia Occidentale, caratterizzata da un territorio arido e scarsamente popolato ma ricco di giacimenti minerari. Il progetto dello studio fondato a Madrid e ora con sede stabile a Sidney, ricorrendo a un video allegorico e a un plastico a scala territoriale punteggiato dai simboli dell’industria estrattiva e delle nuove fonti energetiche, spazza via i dibattiti relativi a sottosviluppo infrastrutturale e segregazione razziale. Messi provocatoriamente da parte i problemi di pertinenza locale punta invece a ricordare il ruolo strategico a livello mondiale che tale regione ha nell’attuazione delle politiche di sviluppo ambientale, energetico, economico, e tecnologico.
L’architetto spagnolo Andrés Jaque, alla guida dal 2003 di Office for Political Innovation e vincitore del Leone d’Argento al miglior progetto di ricerca in occasione della 14. Biennale di Architettura, ritorna a Venezia con una considerazione sui grattacieli di New York. La realizzazione di questi spettacolari edifici è possibile grazie alla disponibilità su un mercato ormai di scala mondiale di materiali estratti a migliaia di chilomestri di distanza, nel cuore dell’Africa quali, per esempio, la cromite dallo Zimbabwe, l’ilmenite dal Sudafrica o il cobalto dallo Zambia, tutti minerali la cui estrazione ancora oggi fa ostinatamente rima con sfruttamento e segregazione.

Flores & Prats Architects con Emotional Heritage, attraverso un’ampia rassegna di documenti di progetto e plastici, propongono una riflessione sugli edifici che, anche quando abbandonati, non solamente occupano un posto nei ricordi di chi vi ha vissuto ma continuano a custodire l’eco delle funzioni e delle persone ospitate. Un’eco da porre a premessa di ciascun intervento di recupero che voglia dirsi efficace.
Un’eco con cui si è confrontato anche AMAA Collaborative Architecture Office for Research and Development di Venezia incaricato di individuare i termini per il riutilizzo della ex base NATO del Monte Calvarina, attiva dal 1959 al 1995. Rispondendo a una legge del contrappasso, oggi il complesso è un centro di formazione e simulazione per la risposta alle emergenze e la sperimentazione di tecnologie alternative.
Lo studio Neri&Hu Design and Research Office di Shanghai opta per mostrare tre progetti di riuso adattivo di edifici industriali, agendo con demolizioni puntuali e innesti di precisione realizzati, come avviene nel campo del restauro, con materiali in contrasto per dare evidenza al nuovo rispetto alla preesistenza.
Il collettivo DAAR – Alessandro Petti e Sandi Hilal affronta invece la pesante eredità fascista rappresentata da Borgo Rizza in provincia di Siracusa, costruito nel 1940 dall’Ente di Colonizzazione del Latifondo Siciliano utilizzando lo stesso modello insediativo in ambito rurale imposto nelle colonie italiane in Nord Africa. L’installazione Ente di Decolonizzazione – Borgo Rizza, vincitrice del Leone d’oro per la migliore partecipazione alla 18. Mostra The Laboratory of the Future, consta di una riproduzione in scala della facciata dell’edificio principale del nucleo abitato, scomposta e collocata a terra come le tessere di un enorme puzzle da ricomporre mentre si valutano nuove destinazioni dell’immobile, ponendolo a servizio della comunità a riscattarne le origini e quell’aspetto che rimanda a una stagione in cui l’architettura era uno dei più importanti strumenti di propaganda della grandeur fascista.

Debris of History, Matters of Memory nasce dalla collaborazione tra l’architetto brasiliano Gloria Cabral e il fotografo congolese Sammy Baloji con la consulenza della storica dell’arte Cécile Fromont, originaria della Martinica. Tre diversi substrati culturali trovano un punto d’incontro nell’ammirazione per gli arazzi di Villa Medici a Roma cui si ispirano per un’originale arazzo figlio dei nostri giorni, prodotto con detriti di costruzione, rifiuti minerari e frammenti di vetro veneziano. Gli scarti diventano così un elemento decorarivo elegante e raffinato, caratterizzato da una rigorosa trama geometrica e da preziosi bagliori.
L’installazione si è aggiudicata una delle tre Menzioni speciali della giuria mentre un’altra è stata assegnata a Tectonic Shifts di Wolff Architects. Lo studio di Cape Town propone un’interessante analogia tra la tettonica delle placche e il processo creativo in architettura realizzando un collage di disegni, fotografie e video, disposti su un pannello per fasce ora sovrapposte ora intersecantesi, a descrivere i blocchi di idee e suggestioni, di informazioni tecniche e vincoli che, scontrandosi tra loro, lasciano emergere  la forma definitiva del progetto.

La video installazione intitolata Origins, concepita dal sudafricano MMA Design Studio, sottolinea come i luoghi ritenuti “incontaminati” dai turisti in realtà non siano affatto tali. Utilizzando i moderni strumenti di indagine, senza nemmeno la necessità di compiere scavi archeologici, è infatti possibile rilevare evidenze di antichi insediamenti. È avvenuto per esempio nel 2019, nella riserva naturale di Suikerbosrand di cui appunto Origins ne rievoca la storia, comprovando la ciclicità degli eventi nel tempo e la capacità della natura di riappropriarsi dello spazio sottrattole.
Un concetto alla base anche di The Nebelivka Hypothesis elaborata da David Wengrow e Eyal Weizman con Forensic Architecture e The Nebelivka Project. L’ipotesi trae origine da un’indagine geofisica condotta in Ucraina, tra i fiumi Bug meridionale e Dnepr, che ha rilevato tracce interne al suolo, ma da esso inseparabili, dimostranti l’esistenza di insediamenti vecchi seimila anni, di cui si era persa memoria, siti a un solo metro di profondità, sotto i campi.

Lo studio newyorkese SCAPE Landscape Architecture presenta invece Chattahoochee River Lands. Il progetto, frutto di un meticoloso processo di coinvolgimento degli abitanti, si concentra su un tratto di fiume lungo duecento chilometri con al centro la città di Atlanta, caratterizzato da un territorio eterogeneo, per indrodurvi piste ciclabili, microparchi e affacci rocciosi nel tessuto urbano e rurale esistente a risanare e valorizzare un paesaggio fluviale compromesso da secoli di attività estrattive e industriali.
Brixton è invece un quartiere multiculturale, con una marcata presenza caraibica, sito nel quadrante sud-occidentale di Londra. Gbolade Design Studio in Regenerative Power analizza come l’edificio che ospita il centro culturale delle Indie occidentali britanniche e la mensa dei poveri sia un importante punto di riferimento della comunità, analizzando i meccanismi e le relazioni che portano a tutelare e supportare generosamente gli individui più deboli, siano essi gli anziani o i disoccupati.
Ad Amos Gitai sono assegnate le campate di fondo delle Corderie che egli tappezza con video e fotografie, sospesi alle pareti e alle travi del soffitto, inneggianti alla molteplicità di lingue e tradizioni che punteggiano il nostro pianeta. Home, Ruins, Memory, Future si configura come un suggestivo mosaico multimediale, in equilibrio tra il passato e la speranza per un futuro di armonica convivenza tra le genti.

Prima di uscire a rivedere il sole resta tuttavia un’ultima sezione da visitare: il percorso include infatti un segmento delle Artiglierie dedicato dalla curatrice a tre ulteriori tematiche su cui ha invitato i giovani practitioner a riflettere. Leggeri teli dividono i contributi degli ospiti in un fluire continuo a indicare come il sentire, le idee e le tematiche siano tra loro interconnessi.
Il primo tema, Memoria, si sviluppa spaziando dal progetto Looty che, vendendo nel Metaverso le riproduzioni 3D dei manufatti artistici trafugati nel corso del processo di colonizzazione e oggi esposti nei principali musei del Nord del pianeta, finanzia l’attività di giovani artisti, a Partition che invita a riflettere su come il museo non sia solo il forziere della memoria ma pure il luogo in cui frammenti di epoche diverse si ricompongono secondo un nuovo ordine, dando vita a nuove narrazioni e ispirando rielaborazioni future.
Nella sezione Genere e Geografia Ines Weizman ricostruisce il tour di Joséphine Baker tra il 1941 e il 1943, a supporto delle truppe francesi in guerra. L’installazione video mostra molti dei luoghi dove l’artista si esibisce, dislocati tra Nord Arica e Medio Oriente, a evidenziare quanto il linguaggio architettonico coloniale riuscisse a uniformare, unificando territori oggi nettamente separati dai confini nazionali. J. Yolande Daniels con The BLACK City Astrolabe costruisce invece una macchina del tempo in cui si intrecciano le rotte dei flussi volontari o forzati delle donne di colore dal XV secolo ai giorni nostri.
Infine, le installazioni dedicate a Cibo, Agricoltura e Cambiamenti climatici rivolgono una preponderante attenzione ai gesti che sin dall’antichità vengono ripetuti nel processo di prendersi cura della terra, nella coltivazione e nella preparazione dei cibi. Gesti dal sapore rituale, di cui oggi è necessario riappropriarsi per garantire al genere umano un futuro: questo principio rappresenta il filo rosso che lega tra loro ampia parte dei progetti emersi da The Laboratory of the Future.

Silvana Costa

La mostra continua:
Giardini e Arsenale
Sestiere Castello – Venezia
fino a domenica 26 novembre 2023
orario:
20 maggio – 30 settembre 11-19
1 ottobre – 26 novembre 10-18
ultimo ingresso 15 minuti prima della chiusura
solo sede Arsenale: venerdì e sabato, fino al 30 settembre, apertura prolungata fino alle 20
chiusa il lunedì, a eccezione del 22 maggio, 14 agosto, 4 settembre, 16 ottobre, 30 ottobre e 20 novembre
www.labiennale.org/it/architettura/2023

Biennale Architettura 2023
18. Mostra Internazionale di Architettura
The Laboratory of the Future
a cura di Lesley Lokko

Catalogo:
Biennale Architettura 2023
The Laboratory of the future
a cura di Lesley Lokko
graphic design Die Ateljee – Fred Swart
La Biennale di Venezia, 2023
2 volumi 21 x 27 cm, pagine vol.1 450 ca. / vol.2 220 ca., fotografie vol. 1 350 ca. / vol.2 200 ca., paperback con cofanetto
prezzo 80,00 Euro

Guida breve:
Biennale Architettura 2023
The Laboratory of the future
a cura di Lesley Lokko
graphic design Die Ateljee – Fred Swart
La Biennale di Venezia, 2023
15 x 20 cm, 240 ca pagine, paperback
prezzo 18,00 Euro

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