Intervista a Carlo Bertelli

Il professor Bertelli, dal 1977 al 1986, è stato il Soprintendente per i Beni Artistici e Storici di Milano occupandosi, tra l’altro, del riordino della Pinacoteca di Brera. Lo incontriamo nella sede dell’Ordine degli Architetti di Milano, poco prima del dibattito pubblico in cui l’Assessore Boeri motiva la decisione di spostare la Pietà Rondanini di Michelangelo nella zona dell’ex Ospedale Spagnolo del Castello. La serata si rivelerà movimentata grazie anche all’intervento dell’Onorevole Sgarbi che promette di porre un vincolo all’attuale allestimento, realizzato dallo studio BBPR, nella Sala degli Scarlioni del Castello Sforzesco. Ma sentiamo cosa pensa il professor Bertelli della complessa situazione artistica milanese.

Una domenica di novembre, dalle pagine del Corriere, Lei denunciava come capolavori tipo la Pietà Rondanini, con la loro “esagerata” popolarità, soffochino i musei che li ospitano. Ritiene davvero sia anche questo il caso? Ovvero, ci sembra che la Pietà richiami indubbiamente molti visitatori, ma il complesso museale del Castello non crediamo abbia il flusso che forse meriterebbe.
Carlo Bertelli: Il museo è indubbiamente ignorato nonostante la sua enorme importanza. È soffocato dal fatto di essere in un castello: la gente va a vedere quest’ultimo e non tanto il museo, oppure attraversa il complesso senza entrare per ammirarne le opere. Il problema della strategia museale, nel caso della Pietà Rondanini, è proprio non far sì che divenga la mèta esclusiva della visita ma questo richiederà una grande delicatezza nelle scelte. Spregiudicatezza ma soprattutto delicatezza nel cercare di capire come invogliare il pubblico a non voler vedere solo la Pietà. Quest’opera, in città da 60 anni, ha pochissimo a che vedere con la storia di Milano mentre nel museo del Castello sono custoditi altri tesori inestimabili che vanno valorizzati, conservati, studiati, amati.

BBPR, Albini, Scarpa, sono i riferimenti per chiunque si avvicini all’allestimento museografico dell’era moderna. Indubbiamente, nel tempo, sono migliorate le tecnologie a disposizione di questa disciplina; in più, come è stato denunciato nel caso milanese, sono aumentate le attenzioni verso i visitatori con problemi di mobilità. Pur tuttavia questa traslazione dell’opera in mezzo allo spazio dell’ex Ospedale Spagnolo per garantirle visibilità/accessibilità non crede snaturi l’idea del Belgiojoso (offrirla alla visione dei visitatori in uno spazio esclusivo ma raccolto che suggerisse la riflessione) ma anche quella di Michelangelo?
C. B.: Mi rendo conto che un grosso problema del Castello è dove mettere Bambaia, le cui opere ora sono divise e non si coglie più il discorso unitario sulla scultura lombarda. Dove mettere Michelangelo è un problema da sempre, così come far sì che non sia quello l’obiettivo della visita, ignorando tutto il resto. La soluzione dei BBPR è molto sensibile, intelligente. Con l’acquisto di un capolavoro come quello si sono trovati, improvvisamente, a doverlo “situare”, inventando questa situazione molto bella: una specie di cappella grigia che isola il monumento e ne fa un punto di riflessione e meditazione. Sono stato a vedere gli spazi dell’ex Ospedale: trovo che siano bellissimi. Credo tuttavia sarà difficile sostituire l’emozione della scala di quel capolavoro dell’architettura che è la soluzione BBPR: scendendola, lo spirito del visitatore si prepara a essere accolto dalla Pietà. Però, quando vedo quelle ringhiere che sono state aggiunte nel tempo – come in un condominio – per evitare che la gente ruzzoli e si faccia male, mi chiedo se la soluzione BBPR sia ancora valida. Se lo spazio sia sufficiente alla luce delle previsioni di invasione della città con l’Expo… se l’Expo porterà persone anche al museo. Non è detto, ma faremo di tutto perché ciò avvenga.

Ci troviamo davanti a un’operazione di stravolgimento del sistema espositivo del Castello – per inciso, in questi giorni è in mostra il progetto con cui Chipperfield e De Lucchi hanno vinto il concorso per la sistemazione dei rivellini e di un’intera ala. Operazione necessaria o esigenza di tagliare i ponti con il passato?
C. B.: Milano è una città che non può fermarsi, una città che ha sempre bisogno di rinnovarsi. Bisogna però che si rinnovi in maniera intelligente e sensibile, che non distrugga, non faccia piazza pulita delle cose belle che ha. Questa è la sfida e, al contempo, un bel problema.

La cultura Umanistica ha sempre riconosciuto all’arte il potere di elevare gli animi del pubblico anche se, forse, non è esattamente questo il fine ultimo dell’esposizione della Pietà nel Carcere di San Vittore, prima, e a Palazzo di Giustizia, poi. Ci esponga il suo parere su questa esposizione itinerante.
C. B.: In passato, quando ero soprintendente, mi sono battuto perché la Pietà non fosse spostata: era in programma una grossa occasione ecclesiastica a Firenze e l’arcivescovo chiese l’opera in prestito. Mi sembra che anche il sindaco Tognoli fosse d’accordo per concedergliela ma io mi sono opposto con successo e la Pietà non ha lasciato Milano, non si è mossa dal punto dove si trovava: questo perché è pericolosissimo spostarla, visto lo stato in cui Michelangelo ce l’ha lasciata.

Può spiegarsi meglio?
C. B.: Noi la consideriamo come una statua ma non è una statua. È un blocco composito: da una parte un braccio e una gamba, che sono scolpite sino in fondo, mentre il resto è un masso di marmo aggredito in maniera violentissima da parte dell’autore. Si tratta di un’opera di una fragilità estrema, per due ragioni. Innanzi tutto perché non finita e, quindi, la sua superficie porosa si presta a tutti i danni possibili dell’atmosfera. In secondo luogo perché Michelangelo ha “risparmiato” – dato che il suo lavoro era distruggere quello che aveva fatto, trasformando la statua completamente – quel braccio come riferimento e per mantenere l’equilibrio della statua che, altrimenti, sarebbe caduta. Se il braccio aderisce al resto del tronco è perché c’è un pezzo di marmo, grande meno di un dito, che se si dovesse spostare porterebbe alla perdita del braccio stesso: è quello il punto più pericoloso per la conservazione della statua ed è già rotto.

Si è parlato anche di una nuova sistemazione per il Cristo Morto del Mantegna, una delle opere di punta della Pinacoteca di Brera: una collocazione più scenografica, da affidarsi al regista Ermanno Olmi. Ritiene che una tale operazione possa portare benefici – anche didattici – al pubblico o, piuttosto, come dimostrano le mostre che periodicamente sono organizzate in quella sale già sature, sarebbe un mero gesto scenografico che penalizzerebbe le altre opere?
C. B.: Io non sono d’accordo sul dare una posizione diversa al Cristo Morto. Questo quadro deve entrare in dialogo con gli altri dipinti di Mantegna – San Bernardino, per esempio – lì presenti: mi rendo conto che sia difficile da creare perché gli spazi di Brera sono diseguali, ma non trovo che il Cristo Morto abbia bisogno di una regia specifica.

Nel 1952, in piena ricostruzione post-bellica, il Comune di Milano, nella persona del sindaco Ferrari, lancia una raccolta popolare di fondi e riesce ad acquistare per 135 milioni di Lire, la Pietà Rondanini. Oggi la Pinacoteca di Brera fa acqua da tutte le parti (nel vero senso della parola), non ha fondi per l’ordinaria manutenzione e non può certo ambire a riceverne in quantità sufficiente dallo Stato. A che punto è il progetto di una Fondazione di diritto privato?
C. B.: A che punto sia non lo so. Contrariamente a tutte le questioni di principio, sono favorevole a una Fondazione proprio perché sarebbe nello spirito dei milanesi del ’52: un modo di investire capitali della propria città. La situazione della Pinacoteca è in stallo da 40 anni e non accenna a migliorare, né lo farà dato che le spese da affrontare sono enormi. Nessuno crede che i soldi necessari arriveranno mai perché questa crisi sarà più lunga del previsto. Si scontano ora anche sbagli enormi commessi in passato, come quello di aver acquistato palazzo Citterio: averci lavorato ed averlo abbandonato, creando non solo un problema finanziario in termini di gestione ma anche un enorme danno di immagine.

Ad agosto Lei invocava, dalle pagine del Corriere della Sera, che alle critiche all’idea della Fondazione si sostituissero proposte. Ci tolga una curiosità: ne è mai arrivata qualcuna di interessante?
C. B.: No, non è arrivata nessuna proposta.

Silvana Costa

L’evento si è svolto:
Ordine degli Architetti di Milano
via Solferino 17/19 – Milano
lunedì 3 dicembre 2014

Pietà in viaggio
Un’opportunità per Milano tra conservazione e nuove esigenze museografiche
Sono stati invitati:
– Stefano Boeri, Assessore alla Cultura, Moda, Design del Comune di Milano
– Carlo Bertelli, Storico e critico d’arte
– Salvatore Carrubba, giornalista e Presidente Accademia di Brera
– Michele De Lucchi, architetto
– Augusto Rossari, Docente di Storia dell’architettura al Politecnico di Milano
coordina: Vito Redaelli, Consigliere Ordine Architetti PPC Milano

Questa voce è stata pubblicata in interviste&opinioni, Milano, Ordine degli Architetti e contrassegnata con , , , , , , , . Contrassegna il permalink.

I commenti sono chiusi.