La confessione di Agostino

la conf di agostino 2Racconto di un ergastolo bianco ovvero storia (vera!) di ordinaria follia legislativa italiana.

La realtà sa essere più crudele di qualsiasi machiavellica fantasia: è questo il caso di La confessione di Agostino, un drammatico spaccato di vita dove la dignità dell’esistenza umana è schiacciata dall’assurdità del corpus delle leggi italiche. Una triste storia dei giorni nostri e non un aneddoto ambientato nel buio Medioevo.
Gianfelice Facchetti, autore e regista dello spettacolo attualmente in scena allo Spazio Tertulliano di Milano, descrive il calvario dell’ergastolo bianco: la reclusione imposta ai detenuti che, scontata la pena, vengono internati in complessi protetti perché ancora pericolosi per la società o perché indigenti. Il caso di Agostino, il protagonista di questa storia vera, rientra nella seconda accezione: l’uomo è condannato a vivere in una casa lavoro sino a quando non avrà i mezzi per provvedere alle proprie necessità.
Facchetti attinge a piene mani alla struttura narrativa alle Confessioni (V secolo), l’opera autobiografica in cui Agostino d’Ipponia narra la conversione al Cristianesimo dopo una giovinezza dissoluta e corrotta. L’Agostino dei giorni nostri, egregiamente interpretato da Claudio Orlandini, emulando il teologo poi proclamato Santo, descrive senza reticenze né falsi pudori il cammino che dalle gradinate dell’ippodromo lo ha condotto in prigione prima e in casa lavoro poi. Espone come il gioco d’azzardo gli abbia sottratto, uno dopo l’altro, i valori che danno senso ad un’esistenza: il denaro, il lavoro, il rispetto dei genitori, la libertà e, da ultima, la dignità di essere umano. Egli infatti, senza più risparmi e prospettive di impiego, una volta scontata la condanna per furto, si trova confinato in una casa lavoro senza alcuna prospettiva per il futuro. Le giornate scorrono vuote, le une uguali alle altre: “Sotto il tetto in cui sto scontando il mio ‘ergastolo bianco’ non ho alcun mestiere a cui dedicarmi, giusto una manciata di giorni al mese faccio lo ‘scopino’, pulisco il passaggio di chi striscia accanto a me”.
Come Sant’Agostino affida alle pagine le riflessioni indirizzate a Dio così l’Agostino sul palco condivide con il pubblico in sala il fluire dei suoi pensieri. Tristi. Sconsolati. A tratti disperati. Accompagnati dalla tromba di Raffaele Kohler che dall’alto, come un secondino, vigila gli “ospiti”. In fondo, anche se ha un nome accattivante, il posto che accoglie Agostino altro non è che una forma di prigione, poco o nulla differente da quella che lo ha ospitato negli anni precedenti: “una casa lavoro, si chiama così il limbo in cui mi trovo a penare. Non assomiglia per niente a una casa, è una galera bella e buona con porte blindate e angeli poliziotti a vegliare sulla mia noia”. È un luogo dove, tra l’altro, non gli è possibile riconquistare l’indipendenza economica: l’unica speranza di uscire dal circolo vizioso in cui si è incanalata la sua esistenza è dunque sperare nella morte dell’anziana madre e nella piccola eredità che si troverebbe ad intascare?
Se le Confessioni  si concludono con lunghe considerazioni filosofiche sul fine ultimo dell’esistenza umana, noi, dopo aver assistito a La confessione di Agostino, non possiamo smettere di interrogarci sul valore dell’individuo per la società moderna. Non a caso questa nuova produzione della Compagnia Facchetti/De Pascalis gode del patrocinio di Amnesty International e Associazione Antigone, unite contro il sistema carcerario italiano che, vuoi per carenza di mezzi, vuoi per carenza di dirigenti illuminati, non attua un percorso di rieducazione e recupero del detenuto in vista di un suo efficace reinserimento nella comunità. Quanti Agostino sono ospitati nelle strutture di tutta Italia? Ma, soprattutto, quanti nella sola Milano, la città che diede i natali a Cesare Beccaria, autore, a metà del XVIII secolo, Dei delitti e delle pene, un trattato all’avanguardia, letto con ammirazione dagli Illuministi francesi e spunto per la stesura della Costituzione degli Stati Uniti d’America?
Uno spettacolo nudo e crudo, che colpisce sin dalle prime battute, supportato da un apparato scenografico – firmato da Vittoria Papaleo e Marta Tonetti – essenziale, in grado di valorizzare ancor più la recitazione di Claudio Orlandini che ripercorre le tappe di una vita con l’animo ferito dalle traversie ma, non per questo, deciso ad arrendersi.

Silvana Costa

Lo spettacolo continua:
Spazio Tertulliano
via Tertulliano 68 – Milano
fino a domenica 20 marzo 2016
www.spaziotertulliano.it

La confessione di Agostino
testo e regia Gianfelice Facchetti
con Claudio Orlandini
musiche dal vivo Raffaele Kohler
scene e costumi Vittoria Papaleo, Marta Tonetti
produzione Compagnia Facchetti-DePascalis
con il patrocinio di Amnesty International – Sezione italiana, Associazione Antigone

Questa voce è stata pubblicata in Milano, prosa&danza, Spazio Tertulliano e contrassegnata con , , , , , , , , , , . Contrassegna il permalink.

I commenti sono chiusi.