Il gioco della verità

A venticinque anni dall’uscita nelle sale di Festen, il film di Thomas Vinterberg aderente ai principi di Dogma 95, ne va in scena a Milano il primo adattamento teatrale italiano.

La grande festa in onore del sessantesimo compleanno di Helge Klingenfeldt, il magnate danese dell’acciaio, è l’escamotage narrativo attorno cui si sviluppa Festen. Il gioco della verità, il dramma in cartellone al Teatro Elfo Puccini di Milano fino a sabato 1 luglio.
Tra ampi sorrisi, caldi abbracci ed eleganti abiti fanno il loro ingresso in scena, uno dopo l’altro, i figli del festeggiato, Christian, Michael con la moglie vistosamente incinta – nonostante non siano stati invitati a causa di precedenti screzi – ed Helene; la moglie; l’anziano padre e altri ospiti. È questa l’occasione per riunirsi nuovamente e cercare di ritrovare la serenità famigliare a pochi mesi dal funerale di Linda, la gemella di Christian, suicidatasi senza addurre spiegazioni per questo suo gesto estremo.
L’armonia tra i Klingenfeldt è tuttavia solo apparente: sin dalle prime battute risulta evidente il coacervo di frustrazioni, infelicità e traumi che ha impedito ai figli di realizzarsi, preferendo crogiolarsi chi tra fallimenti professionali, chi tra dipendenze, chi tra bugie. Al momento di brindare a Helge tuttavia Christian – complice una generosa dose di alcool – trova il coraggio di affrontare il padre e raccontare a tutti i presenti di come avesse ripetutamente abusato di lui e di Linda con la connivenza della moglie. Tanto coraggio è punito con un’esplosione di violenza da parte di Michael e con un pesante discorso denigratorio della madre che, ancora una volta, preferisce prendere le parti del marito a discapito dei figli. Sarà il fortuito ritrovamento dell’ultima lettera scritta da Linda a ripristinare la verità e obbligare i vari personaggi a fare i conti con la propria coscienza.
Il dramma è la trasposizione teatrale firmata da David Eldridge del film Festen, diretto nel 1998 da Thomas Vinterberg e vincitore del Premio della Giuria al 51º Festival di Cannes. La versione attualmente in scena al Teatro Elfo Puccini è la prima in lingua italiana, frutto del lavoro di traduzione e adattamento di Lorenzo De Iacovo e Marco Lorenzi. Lorenzi, che è anche il regista di Festen, è tra i fondatori della compagnia Il Mulino di Amleto che qui collabora con la nutrita compagine di produzione formata da Elsinor Centro di Produzione Teatrale, TPE – Teatro Piemonte Europa, Teatro Stabile del Friuli-Venezia Giulia, Teatro delle Briciole Solares Fondazione delle Arti.
Festen è la prima pellicola in assoluto realizzata seguendo i dettami di Dogma 95, un collettivo cinematografico fondato a Copenhagen nel 1995 da Thomas Vinterberg e Lars von Trier per arginare il dilagare delle grandi produzioni hollywoodiane. Il manifesto, un decalogo pubblicato quello stesso anno, elenca una serie di regole da rispettare al fine di bandire gli effetti speciali ma pure qualsiasi forma di artefazione dai film del collettivo: si devono utilizzare location esistenti senza introdurvi scenografie od oggetti di scena, i costumi devono essere abiti di proprietà dei singoli attori, non si devono registrare digressioni geografiche e temporali. Le riprese inoltre sono da realizzarsi con una camera a mano, escludendo l’utilizzo di filtri o luci di scena, e l’audio deve essere registrato in presa diretta, senza inserimento di musica a meno che venga eseguita contestualmente alle riprese.
Queste precisazioni non vogliono essere una mera esibizione di saccenza quanto il necessario riferimento per comprendere da dove derivino le particolari scelte di messa in scena di Festen. Il gioco della verità che contribuiscono a rendere lo spettacolo decisamente interessante, per quanto inconsueto con la sua combinazione di teatro e diretta video.
Un telo bianco semitrasparente divide il palcoscenico longitudinalmente per tutta la sua larghezza e altezza, a fungere da schermo su cui proiettare le immagini di quanto avviene nella parte retrostante, trasformata nella villa dei Klingenfeldt. Gli attori si alternano nella mansione di operatori alla videocamera digitale per riprendere quanto accade alla festa, alternando campi lunghi e primi piani a guisa di registi navigati. La facciata principale di una casa per bambole sovente funge da stacco tra un quadro e l’altro, da un dialogo a una scena di gruppo.
La restante parte della casa in miniatura da cui è stata staccata la facciata, un elegante edificio a più piani, resta posizionata per la durata di tutto lo spettacolo nella parte anteriore del palcoscenico, quella compresa tra il telo e la platea. È lasciata aperta, quasi a voler permettere al pubblico di seguire con l’immaginazione gli spostamenti dei personaggi tra le stanze, come quando in televisione guarda Bruno Vespa ricostruire i passaggi di efferati fatti di sangue.
La casetta fornisce lo spunto agli attori anche per rievocare la storia di Hansel e Gretel e della loro ingenuità perduta, traditi pure loro da genitori che avrebbero dovuto proteggerli ma invece finiscono per anteporre i propri bisogni ai loro.
Nel film i fatti si svolgono all’interno di una villa esistente, senza alterarne gli ambienti. A teatro, analogamente, si tende a non abbellire il palcoscenico con una scenografia: il regista si limita a introdurre solo qualche elemento sporadico che faccia da fondale alle inquadrature, lasciando la gran parte dello spazio spoglia.
L’effetto finale delle soluzioni adottatte per Festen. Il gioco della verità, con il primo piano degli attori proiettato sullo schermo mentre dietro si intravedono le persone reali e la luce bluastra del monitor della telecamera che le riprende, è un gioco di vedo/non vedo che stimola la curiosità e l’attenzione del pubblico. La tentazione è infatti strizzare gli occhi sperando, nel guardare oltre lo schermo, di scoprire dalle movenze dettagli che arricchiscano la tridimensionalità dei personaggi.
Coinvolgenti Elio D’Alessandro, Raffaele Musella e Barbara Mazzi calati nei ruoli rispettivamente di Christian, Michael ed Helene impegnati in un gioco al massacro, sia fisico sia psicologico, tra loro ma, principalmente, con i genitori interpretati da Danilo Nigrelli e Irene Ivaldi.
Un gioco al massacro che ha come fine ultimo raccontare la verità su sé stessi ed essere finalmente liberi di vivere senza il peso opprimente di segreti che impediscono di inseguire i propri sogni con la meritata leggerezza.

Silvana Costa

Lo spettacolo continua:
Teatro Elfo Puccini – sala Shakespeare
c.so Buenos Aires 33 – Milano
fino a sabato 1 luglio 2023
orario: martedì – sabato 20.30
www.elfo.org

Festen
Il gioco della verità
di Thomas Vinterberg, Mogens Rukov e Bo Hr. Hansen
adattamento per il teatro di David Eldridge
prima produzione Marla Rubin Productions Ltd, a Londra per gentile concessione di Nordiska ApS, Copenhagen
versione italiana e adattamento Lorenzo De Iacovo, Marco Lorenzi
regia Marco Lorenzi
con Danilo Nigrelli, Irene Ivaldi e (in ordine alfabetico) Yuri D’Agostino, Elio D’Alessandro, Roberta Lanave, Carolina Leporatti, Barbara Mazzi, Raffaele Musella, Angelo Tronca
assistente alla regia Noemi Grasso
dramaturg Anne Hirth
visual concept e video Eleonora Diana
costumi Alessio Rosati

sound designer Giorgio Tedesco
luci Link-Boy (Eleonora Diana & Giorgio Tedesco)

consulente musicale e vocal coach Bruno De Franceschi
produzione Elsinor Centro di Produzione Teatrale, TPE – Teatro Piemonte Europa, Teatro Stabile del Friuli-Venezia Giulia, Teatro delle Briciole Solares Fondazione delle Arti
in collaborazione con Il Mulino di Amleto
durata: 1 ora e 40 minuti

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