Istanti con Ferdinando Scianna

ritratto_ferdinando_sciannaAlla Galleria Forma Meravigli  di Milano, sino a fine luglio, è possibile visitare la mostra Istanti di luoghi, uno straordinario viaggio intorno al mondo compiuto attraverso le fotografie di Ferdinando Scianna.

Oltre cinquanta scatti, in bianco e nero, raccontano la magia della Sicilia e del delta del Po, della verde Irlanda e di una partita sulle sabbie dello Yemen, degli U.S.A., della Russia e di molti altri luoghi incantati. L’occhio attento di Ferdinando Scianna dimostra come sia possibile cogliere la poesia anche in luoghi più vicini a noi, per esempio nella Pianura Padana, tra campi e paesini: basta attendere l’istante propizio, la luce ottimale.
Le fotografie sono accostate per assonanza, accompagnate da didascalie essenziali che appuntano luogo e data di realizzazione. Nulla più. Al pubblico la scelta di apprezzare l’immagine per quello che appare o scandagliarla nell’intimo, avventurandosi alla scoperta della biografia dell’autore.
Noi abbiamo avuto l’onore di incontrare Ferdinando Scianna durante l’anteprima della mostra e il Maestro, splendido oratore, ha risposto alle domande della stampa attingendo alla cassapanca dei ricordi.

Dopo tanti anni torna a esporre a Milano. Istanti di luoghi è una mostra emozionante. Come è nata la vocazione per la fotografia?
Ferdinando Scianna: «Ero un appassionato di cinema poi mio padre mi ha regalato una macchina fotografica e ho scoperto che era un giocattolo meraviglioso. Con quello strumento potevo far vedere a un altro le cose che mi erano piaciute, raccontare dove ero stato: è stupendo. Della passione ne ho fatto un metodo e, poi, un mestiere».

Mestiere dove la passione sembra non essere mai venuta meno.
F.S.: «Una volta un collega giornalista diede una delle definizioni più curiose che abbia mai sentito su di me. All’epoca io – fotografo – andavo a fare i servizi insieme al giornalista: è stata una grande scuola per me, poi ho cominciato a scrivere e ho conquistato la solitudine. Qualcuno gli chiese “Ma come lavora Scianna?” e lui rispose “Sveltissimo. Quando gli chiedi di fare un certo lavoro lui lo esegue il più velocemente possibile perché dopo deve andare a fare le foto”. È una maniera per dire che questo mestiere non è facile ma non mi ha mai assassinato la passione. Lo facevo per campare ma anche per vivere ed è per questo che a 73 anni – e pure malandato – riesco ancora a fare dei libri. Come Vittorio Gassman “Ho un grande avvenire alle mie spalle“ e, guardando indietro alle cose che ho fatto, posso recuperare fili di varie storie e portarle avanti».

Il volume Feste Religiose in Sicilia, pubblicato nel 1965, accompagnato da un saggio di Leonardo Sciascia sancisce l’inizio di una straordinaria collaborazione e amicizia con lo scrittore. Lei ha inoltre avuto l’onore di conoscere Jorge Luis Borges quando, nel marzo 1984, venne a Palermo per ritirare il premio La Rosa d’oro, ideato dalla casa editrice Nove­cento. Ci racconta dell’incontro con questo mito della letteratura mondiale?
F.S.: «L’incontro con Borges è un mistero miracoloso della mia vita. Ne ero completamente elettrizzato, sino all’ossessione: avevo letto tutto quello che Borges ha scritto, tutte le interviste fatte a Borges, tutti i saggi su Borges. Quando venne in Sicilia, in occasione del premio, mi fu proposto di seguirlo: poter stare per una settimana insieme a questo mito letterario è stata un’esperienza irripetibile! Borges diceva che “Molto spesso, le persone che hanno fatto delle cose importanti non sono all’altezza del mito che ha prodotto la loro opera“. Questo – l’ho potuto sperimentare – è vero, ma non era vero per lui. Lui era assolutamente all’altezza del mito che aveva prodotto, anche nella quotidianità più piccola. Faccio un esempio: all’ennesima volta che al ristorante gli ho sentito ordinare prosciutto gli ho detto “Ma Borges, sempre prosciutto?” Lui mi ha risposto “Me pareces una palabra muy nutritiva” (mi sembra una parola molto nutriente – n.d.r.). Mi capite? Mangiava le parole. Restava scrittore anche nello scegliere il cibo».

Di cosa avete parlato durante quella settimana indimenticabile?
F.S.: «Abbiamo chiacchierato a lungo e sua moglie – con la quale sono ancora in contatto – amava la fotografia. Lui era molto divertito all’idea che gli stessi facendo tanti ritratti. Ritratti che non avrebbe mai visto, che gli sarebbero stati raccontati da chi gli stava vicino. È poi successa una cosa incredibile e io mi illudo sia nata anche da certe conversazioni che abbiamo avuto in quella settimana. Il meccanismo del premio prevedeva che il vincitore – e lui era stato il primo, il premio era stato creato per lui – scegliesse il proprio successore. Lui aspettò a lungo e poi indicò Cartier-Bresson. Era una situazione fantastica: lo scrittore cieco passava il testimone all’occhio del secolo».

Che influenza hanno avuto nella sua fotografia questi straordinari incontri e, più in generale, la sua vita?
F.S.: «È come se domandasse a qualcuno “Che ruolo ha avuto nella tua vita tua madre?” Tua madre è tua madre e non si può dire che non abbia influenza nella tua vita. Poi, se fai il fotografo, nascere in Sicilia non è la stessa cosa che nascere in Norvegia. Cartier-Bresson diceva “La mia luce ideale è una giornata luminosa, senza troppo sole che faccia ombre nette”. Come avrei potuto io dire una cosa del genere? In fotografia la luce non è solo un fatto atmosferico ma diventa metafora dell’essenza di un certo luogo e di chi ci vive. L’educazione visiva – e sentimentale – la determinano i genitori, la storia personale o i libri letti, insieme alla luce dei luoghi dove sei cresciuto».

Nei luoghi dove sono state scattate le foto che vediamo in mostra – molti lontani dalla Sicilia – ha ritrovato quella particolare condizione luminosa?
F.S.: «In questa mostra sono presenti foto di luoghi, ma non si tratta di luoghi canonici. Sono luoghi che ho incontrato e mi hanno detto “Fammi una foto”. Io gliel’ho fatta. Succede perciò che di fronte a un oggetto naturale straordinario come il Salar de Uyuni (Bolivia, 1986) – quando il lago di sale si asciuga, si trasforma in un reticolato di esagoni irregolari – la prima reazione avuta sia stata “Sembra un’immensa coperta all’uncinetto, una di quelle che faceva mia madre”. Che uno lo voglia o no, il rifiuto o l’adesione a una fotografia nasce dalla propria vicenda umana. Può anche capitare che un bel tramonto possa far schifo perché ricorda il brutto quadro appeso a casa della zia. Nel libro sulla mostra ci sono solo immagini ma io penso che le mie fotografie ci guadagnino a essere inserite in un contesto nel quale si racconta da dove vengo e quale tipo di sogno mi ha fatto fuggire da lì».

Nella sua fuga all’inseguimento del sogno, quali maestri ha avuto?
F.S.: «Io sono un allievo di professione. Tutta la vita sono stato alla ricerca di padri e maestri e la fortuna della mia vita è che ho trovato gente infinitamente migliore di me, che mi ha preso sul serio e mi ha insegnato molto. A volte anche il contesto nella sua accezione storica, culturale ed emozionale produce cortorcuiti e offre insegnamenti molto importanti. Per esempio: la Sicilia è un luogo dove regna l’eccesso stilistico, anche nella rappresentazione delle cose più intime. Questa situazione, se l’hai vissuta, ti sviluppa un sistema di difesa. Io ho imparato a proteggermi dalla retorica: so che non è l’urlo che farà arrivare le mie parole lontano ma piuttosto come le metto dentro il discorso. Io penso – spero – di aver fatto una fotografia molto emotiva ma non sentimentale, molto politica ma non propagandistica. Questo l’ho imparato dalla Sicilia e dall’anti Sicilia che c’è nei migliori siciliani».

Silvana Costa

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La mostra continua:
Forma Meravigli
via Meravigli 5 – Milano
fino a domenica 30 luglio 2017
orario: tutti i giorni 11.00 – 20.00
giovedì 12.00 – 23.00
lunedì e martedì chiuso
www.formafoto.it

Istanti di luoghi
Fotografie di Ferdinando Scianna
a cura di Alessandra Mauro

Pubblicazioni:
Istanti di luoghi
Contrasto, 2017
30×24 cm; 174 pagine; 90 fotografie in b/n; cartonato
prezzo: 45,00 Euro
www.contrastobooks.com

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