Robert Capa e Gerda Taro

Centoventi scatti d’epoca ripercorrono, da un lato, la storia d’amore tra due dei più celebri fotografi del XX secolo e, dall’altro, documentano la nascita del reportage dal fronte di guerra.

La storia d’amore tra Robert Capa e Gerda Taro è una delle più struggenti del Novecento. L’ungherese Endre Friedmann e la tedesca Gerta Pohorylle, entrambi in fuga dai Paesi natii per sottrarsi alla crescente furia nazista, si incontrano a Parigi nel 1934. Endre, dopo un serrato corteggiamento, riesce a conquistare il cuore di Gerda e nel settembre 1935 vanno a vivere insieme in un piccolo appartamento-studio nei pressi della Torre Eiffel.
Endre, che nel frattempo ha francesizzato il proprio nome in André, le insegna a fotografare; Gerta, assunta dall’agenzia Alliance Photo, gli fa da manager ma la fortuna stenta a bussare alla loro porta. Nell’estate del 1936 i due giovani fotografi – che nel mentre, su idea di Gerda, hanno cambiato i propri nomi in Robert Capa e Gerda Taro – documentano gli scioperi organizzati dagli operai in città ed è proprio da qui che ha l’avvio il racconto della mostra Robert Capa e Gerda Taro. La fotografia, l’amore, la guerra in corso a Camera di Torino sino al 2 giugno. Walter Guadagnini e Monica Poggi, curatori dell’esposizione, a fianco degli uomini scesi in corteo il I maggio con gli striscioni e dei partecipanti al congresso del partito radical-socialista nell’ottobre 1936, collocano fotografie che raccontano le persone che compongono la folla, conferendo una componente umana a un atto di protesta collettiva. Nella prima sala si può così ammirare il gesto di un macellaio che dona ai manifestanti un cesto di salsicce o, entrando nei celeberrimi grandi magazzini Galeries Lafayette, uno scioperante appisolato sopra una panchina mentre una collega spalanca la bocca in un largo sbadiglio.
La prima sala offre alla vista dei visitatori anche alcuni ritratti dei due fotografi, giovani e pieni di progetti per il futuro. Un futuro che bussa alla loro porta già a luglio 1936 quando nel Marocco spagnolo il Fronte Nazionale – coalizione di destra sostenuta dalla Chiesa cattolica e dai monarchici – avvia una rivolta militare con lo scopo di spodestare il governo repubblicano. I curatori della mostra sottolineano che “la Guerra civile spagnola viene definita la prima guerra ‘fotografica’ della storia” grazie, da un lato, alla produzione delle prime macchine fotografiche compatte che consentono di raggiungere agilmente le linee del fronte e, dall’altro, dal crescente numero di riviste illustrate. In una tal ottica Capa e Taro possono essere annoverati tra i genitori del reportage di guerra e, di conseguenza, l’esperienza compiuta in Spagna può essere vista quale banco di prova per la II Guerra mondiale.
Gerda e Robert i primi di agosto sono già in Spagna per conto della rivista Vu.
Alla spiaggia di Barcellona Gerda realizza un servizio sulle miliziane intente ad allenarsi nell’uso delle armi e, tra le tante, scatta anche la fotografia – esposta in mostra – che tutti immediatamente associano al suo nome, quella della donna che, in ginocchio per prendere meglio la mira, rivela le scarpe con i tacchi sotto l’uniforme, un dettaglio vezzoso accostato al simbolo dell’incipiente orrore. Inizialmente, tuttavia, il nome di Gerda è poco noto ai lettori: le fotografie dal fronte sovente vengono pubblicate facendo riferimento solo a Robert, impedendo agli storici per anni la corretta attribuzione delle immagini e la comprensione del reale valore della fotografa.
Un valore che, come esposto all’inizio del percorso espositivo, è stato possibile stabilire grazie al ritrovamento della fantomatica “valigia messicana”. Non una valigia vera e propria ma una serie di taccuini, fotografie e negativi, tra cui quelli relativi ai reportage sulla Guerra civile spagnola, che Robert Capa nell’autunno del 1939, nel trasferirsi negli Stati Uniti, lascia a Parigi. L’invasione nazista della Francia e lo scoppio della II Guerra mondiale inducono i possessori a disfarsi di quei materiali compromettenti che, dopo una lunga serie di passaggi di proprietà, vengono rinvenuti in Messico alla fine degli anni Novanta. Il fratello di Robert Capa, Cornell, ne entra in possesso nel 2007 e, grazie ai negativi minuziosamente suddivisi e catalogati all’epoca, è oggi possibile procedere con la corretta attribuzione a Gerda Taro dei suoi scatti, evidenziando il ruolo di primo piano ricoperto nella nascita del reportage di guerra. Walter Guadagnini e Monica Poggi utilizzano quindi La fotografia, l’amore, la guerra per porre nella corretta luce il lavoro di Gerda Taro e permettere alla fotografa di conquistare le meritate lodi.
È tuttavia importante sottolineare come in alcuni casi solo la cura di Capa nell’annotare sulle custodie in cartoncino dei negativi il nome dell’autore permetta di distinguere le immagini e attribuirle correttamente. Robert nell’introdurre l’amata alla fotografia le ha inevitabilmente trasmesso pure il proprio modo di approcciare il soggetto e la sua sensibilità compositiva: ciò è platealmente evidente in mostra, nelle quattro sale dedicate alla Guerra civile spagnola dove i loro scatti sono esposti fianco a fianco. I curatori, per esempio, propongono le fotografie realizzate da ciascuno dei due a una coppia di miliziani: sembrano opera di uno stesso autore, solamente colte da angolazioni differenti, focalizzate sulle persone e sui sentimenti per conferire allo scatto vita. Inutile dire che i due fotografi, così come gli intellettuali che partecipano a Valencia nel luglio 1937 al Secondo congresso internazionale degli scrittori per la difesa della cultura, parteggiano per i miliziani e le fotografie che trasmettono alle redazioni delle riviste, in un qualche modo, contribuiscono a sostenerne la causa. I curatori citano una frase di Capa “non era necessario nessun trucco per fare delle foto in Spagna. Bastava sistemare la macchina fotografica. Le foto erano lì e si doveva solo scattare. La verità era a migliore immagine, la migliore propaganda”.
Robert Capa e Gerda Taro, come accaduto durante gli scioperi parigini, raccontano la guerra e le sue devastazioni – emblematica in tal senso l’ultima sala del percorso espositivo in cui si mostrano le città disseminate di cumuli di macerie – ma pure le persone che la combattono. I loro obiettivi si soffermano per esempio sul barbiere al lavoro nella sede del 5° Reggimento, su due giovani soldatesse che leggono una lettera, sui volti di bambini cresciuti troppo in fretta, sul bacio all’amata prima di partire per il fronte. Un tenace tentativo di uomi e donne di ogni età di ritagliarsi un momento di apparente normalità in mezzo all’inferno.
I due fotografi, sia insieme, sia separatamente, si muovono lungo la linea del fronte, documentando i momenti più cruenti della battaglia. In un simile contesto Capa scatta la fotografia divenuta icona della Guerra: Morte di un miliziano lealista (inizio settembre 1936) esposta in mostra quale parte di una sequenza in cui racconta l’attacco subito dalla squadra franchista, stringendo sempre più l’obiettivo sino a ritrovarlo puntato sull’uomo nel momento in cui un proiettile gli trapassa il cuore. Entrambi sfidano la morte, come ampia parte dei colleghi inviati a documentare il conflitto, a ogni uscita al seguito dei miliziani repubblicani in missione, scendendo in trincea, avventurandosi per le vie delle città durante un bombardamento aereo o mischiandosi alla folla composta in fila all’obitorio cercando i propri cari. Una frase celeberrima attribuita a Capa non a caso è: “se le tue foto non sono abbastanza buone è perché non sei abbastanza vicino”.
Gerda è vicina, molto vicina alla battaglia e il 25 luglio 1937, coinvolta con il giornalista Ted Allan in una drammatica ritirata delle brigate internazionali dal fronte di Brunete, cade sotto i cingoli di un carro armato restando gravemente ferita. Muore il giorno successivo e il suo ultimo pensiero va alle macchine fotografiche: è la prima reporter a morire sul campo. Robert apprende la notizia per caso, alcuni giorni dopo, da un giornale e annichilisce per il dolore; l’anno seguente dà alle stampe Death in the Making, dedicato alla compagna, in cui raccoglie le fotografie scattate insieme e inviate alle riviste con la doppia firma “Capa & Taro”. La vita li accomuna nell’amore, nella passione per la fotografia ma pure nella tragica modalità di morte: Robert muore il 25 maggio 1954 in Vietnam mentre, al seguito delle truppe francesi, documenta per conto di Life la guerra d’Indocina.
Il percorso di visita, attraverso le cinque sale occupate dalla mostra a Camera e le oltre 120 fotografie, offre un emozionante viaggio nella Storia prima che nelle vicende personali e nel lavoro di Robert Capa e Gerda Taro. La fotografia, l’amore, la guerra è infatti la testimonianza dell’amore dei due protagonisti per la fotografia, intesa quale strumento a loro disposizione per documentare l’attualità in modo esaustivo e trasparente, per garantire l’imparzialità dell’informazione senza tuttavia trascurare la componente umana. Principi su cui, al termine della II Guerra Mondiale, Capa insieme ad alcuni colleghi fonda l’agenzia Magnum.

Silvana Costa

La mostra continua:
Camera – Centro Italiano per la Fotografia 

via delle Rosine, 18 – Torino
fino a domenica 2 giugno 2024
orari: tutti i giorni 11-19
ultimo ingresso 30 minuti prima della chiusura
www.camera.to

Robert Capa e Gerda Taro
La fotografia, l’amore, la guerra
a cura di Walter Guadagnini, Monica Poggi
 
Catalogo:
Robert Capa e Gerda Taro
La fotografia, l’amore, la guerra
a cura di Walter Guadagnini, Monica Poggi
Dario Cimorelli Editore, 2024
23 x 28 cm, 160 pagine, 120 immagini, cartonato
prezzo: 30,00 Euro
www.dariocimorellieditore.it

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