Afghanistan: Enduring freedom

Ad oltre un anno dalla messa in scena di Il grande gioco arriva al Teatro Elfo Puccini di Milano Enduring freedom, la seconda serie di episodi di Afghanistan già accolta con entusiasmo in estate al debutto nazionale al Napoli Teatro Festival.

Afghanistan: Il grande gioco / Enduring freedom è un dittico composto da dodici brevi drammi – ridotti a dieci nell’edizione italiana proposta da Ferdinando Bruni ed Elio De Capitani – commissionati a giornalisti dal londinese Tricycle Theatre per spiegare il senso delle missioni che vedono coinvolto, sin dall’Ottocento, l’esercito di Sua Maestà in quella remota zona del mondo. I testi, brevi e graffianti, conditi da molto pathos e un pizzico di cinismo, narrano di un popolo culturalmente – oltre che geograficamente – distante; di gente fiera e astuta che non si piega agli invasori ma sa attendere il momento propizio per respingerli oltre confine. Sarà questo anche il destino delle forze NATO che cercano di ripristinare nel Paese un governo democratico e di garantire la libertà per tutti i cittadini, a prescindere da religione e sesso?
Enduring Freedom, libertà duratura. È questo il nome in codice scelto dal governo USA per designare la grande operazione militare lanciata in Afghanistan dopo gli attentati dell’11 settembre 2001. L’obiettivo è sgominare il regime dei Talebani al potere, dietro cui si cela la rete terroristica di Al-Qaida guidata da Osama Bin Laden. Nel 2006 formalmente gli Stati Uniti cedono il testimone all’ISAF – a questa missione NATO, nel 2015, succede l’Operazione Sostegno Risoluto – e alle azioni di guerra subentra una stabilizzazione armata; sul campo a tutt’oggi non ci sono né vincitori né vinti ma solo migliaia di morti e un Paese in ginocchio. E la tanto millantata libertà, come ironizzano in più occasioni i protagonisti delle vicende di Afghanistan: Enduring freedom, nonostante il gran dispiegamento di mezzi ancora non si scorge all’orizzonte.
La ragione del sistematico fallimento delle missioni? Come spiega Jackie (Claudia Coli), l’operatrice di una ONG protagonista di Dalla parte degli angeli: quando si esce di casa per trattare con queste persone bisognerebbe avere l’umiltà di lasciare in frigorifero i pregiudizi e il metro di giudizio etico propri del mondo occidentale. Se non si parte infatti dal presupposto che nella società afghana le parole “diritto” e “privato” hanno accezioni profondamente diverse dalle nostre, basate su rapporti di matrice tribale dove l’individuo non è da intendersi quale essere singolo e autonomo ma come parte di una struttura complessa, nessun accordo è possibile. Falliscono così gli sforzi di Jackie, quelli di Rabia (Emilia Scarpati Fanetti), la direttrice di un’agenzia ONU impegnata nella distribuzione dei viveri ne Il Leone di Kabul, e quelli del sergente Jay Watkins (Enzo Curcurù) nel vigilare sulla sicurezza delle bambine a scuola in Volta stellata. Nel dubbio che i Talebani, prima o poi, tornino a palesarsi per le vie della città punendo quanti non rispettino la sharia, per le donne è quindi preferibile celare completamente le proprie forme sotto la spessa coltre del burqa. La pensa così la tredicenne Alya (Giulia Viana), protagonista di Come se quel freddo, che si assicura che le proprie scarpe, camminando, non facciano rumore e si angoscia quando la sorella Meena (Emilia Scarpati Fanetti) sottovaluta il pericolo.
Nelle parole delle due sorelle emerge il dramma di un popolo disilluso che ormai da troppo tempo vive ostaggio della paura, temendo tanto i fanatismi degli studenti coranici quanto le rappresaglie delle forze di liberazione. Molti cittadini afghani vivono nelle tendopoli dei campi profughi, quanti rimasti nella loro terra soffrono la fame per l’impossibilità di coltivare terreni tornati desertici e le vedove devono vivere dell’elemosina dei parenti perché è impedito loro di lavorare. Forse allora è il caso di accogliere nelle nostre terre con modi migliori quanti riescono a realizzare il sogno delle due ragazzine di fuggire in Occidente, studiare e poi tornare nel Paese natale per aiutare la propria gente.
Afghanistan: Enduring freedom inanella cinque episodi firmati, in ordine di rappresentazione, da Colin Teevan, Ben Ockrent, Richard Bean, Simon Stephens e Naomi Wallace. Cinque brevi storie che tratteggiano con forza i caratteri dei protagonisti e raccontano un evento simbolico di una situazione socio politica drammatica, del senso di impotenza degli operatori coinvolti e, all’opposto, del grande opportunismo di quanti siedono nella stanza dei bottoni. A cucire le parti tra loro vengono proiettati i video di Francesco Frongia infarciti di numeri, volti e fatti troppo spesso lasciati cadere nel dimenticatoio dai mass media. A un video è conferito anche il compito di aprire lo spettacolo, riprendendo la narrazione da Minigonne a Kabul, l’episodio conclusivo di  Il grande gioco, la prima serie di episodi di Afghanistan.
Un ringraziamento a Ferdinando Bruni ed Elio De Capitani che hanno voluto proporre anche al pubblico italiano questo progetto del Tricycle Theatre posto a cavallo tra la fiction e il reportage di guerra. Bruni e De Capitani firmano la regia di un allestimento essenziale che dà gran risalto al gesto – nella sua componente simbolica e rituale – e all’impostazione vocale con cui gli attori trasmettono la tensione per un semplice scambio di saluti, il disprezzo per l’interlocutore – magari donna e infedele – o le aspettative per un incontro segreto. Un doveroso applauso allora al cast completo che dà corpo e voce a personaggi che catturano l’attenzione del pubblico dal primo all’ultimo minuto di spettacolo, a volte col fare giocoso delle sorelle di Come se quel freddo, altre con la durezza di figure storiche realmente esistite – e violentemente assassinate – come il comandante Massud in Miele.
La scenografia, anche in questa seconda parte di Afghanistan, è minima e flessibile: un pezzo di stoffa ocra per rendere l’idea del deserto, due sedie, un tavolo di plastica, una branda e tanta immaginazione per sottolineare il valore emblematico di una performance che più che intrattenere vuole creare consapevolezza nel pubblico.
L’indifferenza del mondo è infatti l’ostacolo peggiore che Enduring freedom possa affrontare.

Silvana Costa

Lo spettacolo continua:
Teatro Elfo – sala Shakespeare
c.so Buenos Aires 33 – Milano
fino a domenica 25 novembre 2018
Enduring freedom
23/27 ottobre, 3, 4, 6, 7, 8, 13, 14, 15, 21, 22, 23 novembre
mar-sab 20.30 / dom 16.00
Il grande gioco
30, 31 ottobre, 1, 2, 3, 9, 10, 16, 17 e 24 novembre
mar-sab 20.30
Maratone
dom 28 ottobre, 11 e 18 novembre: Il grande gioco ore 16.00 + Enduring freedom ore 20.00
dom 25 novembre: Il grande gioco 11.30 + Enduring freedom 15.30
www.elfo.org

Afghanistan:
 Il grande gioco / Enduring freedom
dieci episodi in due spettacoli
di Lee Blessing, David Greig, Ron Hutchinson, Stephen Jeffreys, Joy Wilkinson, Richard Bean, Ben Ockrent, Simon Stephens, Colin Teevan, Naomi Wallace
traduzione Lucio De Capitani
regia Ferdinando Bruni, Elio De Capitani
con Claudia Coli, Michele Costabile, Enzo Curcurù, Alessandro Lussiana, Fabrizio Matteini, Michele Radice, Emilia Scarpati Fanetti, Massimo Somaglino, Hossein Taheri, Giulia Viana
scene e costumi Carlo Sala
video Francesco Frongia
luci Nando Frigerio
suono Giuseppe Marzoli
coproduzione Teatro dell’Elfo ed Emilia Romagna Teatro Fondazione
in collaborazione con Napoli Teatro Festival
con il sostegno di Fondazione Cariplo

Questa voce è stata pubblicata in festival&stagioni, Milano, Teatro Elfo Puccini e contrassegnata con , , , , , , , , , , , , . Contrassegna il permalink.

I commenti sono chiusi.