Parlami come la pioggia

Al Teatro Parenti vanno in scena cinque emozionanti atti unici di Tennessee Williams, di cui quattro inediti. Cinque storie di coppie valorizzate dall’interpretazione di Valentina Picello e Francesco Sferrazza Papa.

Valentina Picello e Francesco Sferrazza Papa, sotto lo sguardo attento del regista Andrea Piazza, danno vita al Teatro Franco Parenti di Milano alle cinque coppie protagoniste di Parlami come la pioggia di Tennessee Williams.
Lo spettacolo, in scena sino a domenica 5 novembre, è composto da cinque atti unici dell’autore statunitense, proposti nella nuova traduzione di Masolino D’Amico, quattro dei quali non sono mai stati rappresentati in Italia prima d’ora.
I testi risalgono a diversi periodi della vita di Tennessee Williams, compresi tra la fine degli anni Trenta e l’inizio degli anni Cinquanta, ma sono tutti parimenti intrisi di fragilità, dolore, solitudine e nevrosi. Williams è incomparabile nel descrivere il traumatico ingresso della società americana in un’economia industriale e consumistica che trita ed espelle dal sistema gli individui più deboli, quanti non riescono a sostenere i ritmi pressanti della città e l’alienazione delle nuove modalità di lavoro. Tematiche che rappresentano il filo conduttore di tutta la sua produzione, dagli atti unici giovanili con cui fa l’ingresso nel mondo del teatro sino ai grandi successi noti al grande pubblico anche grazie alle trasposizioni hollywoodiane.
Parlami come la pioggia è ospitato nella Sala Tre del Teatro Parenti, quella che permette di giocare con gli spazi dedicati alla rappresentazione in virtù della sua flessibilità. Andrea Piazza, di concerto con la scenografa Alice Vanini Tomola, sfrutta tale opportunità per disporre il pubblico attorno a un ampio recinto, una sorta di area consacrata dal sapore ancestrale in cui sono gettati in ordine sparso fotografie, libri, dischi, abiti e accessori insieme a quant’altro possa afferire ai ricordi di una vita. Una sorta di  “museo delle solitudini raccolte”, come recita il cartello all’ingresso, di cui sono emblema gli uomini e le donne, giustapposti in coppie, protagonisti delle cinque storie che fluiscono l’una nell’altra, senza interruzione. Cinque coppie di differenti parti degli Stati Uniti, di differente estrazione sociale ed età ma tutte accomunate da quel malessere di fondo che impedisce loro di vivere serenamente insieme, anche solo di chiedere aiuto all’altro prima che tutto sia compromesso. Persone che in quel gran recinto frugano affannosamente per cercare ora il conforto della Bibbia, ora i gioielli della sorella morta, ora le scarpe per fuggire da quella landa di dolore.
Valentina Picello e Francesco Sferrazza Papa sviluppano una straordinaria sinergia nell’interpretazione, rendendo vivi i vari personaggi al punto da catturare l’attenzione del pubblico e farlo vibrare di struggimento per quel vortice di autodistruzione cui non pare esserci scampo. Lo dimostra Willie, la bambina protagonista del primo atto unico proposto: Questa proprietà è condannata (1946 e 1953). Intenta a camminare sui binari della ferrovia Willie si imbatte in Tom e mentre giocano gli racconta con disarmante naturalezza di come sia rimasta sola e di come Alva, la sorella, prima di morire le abbia impartito le nozioni utili per adescare gli uomini utili a garantirsi la sopravvivenza. Ogni venti minuti (1938) è invece ambientato tra le mura di un ricco appartamento borghese di New York dove due coniugi di ritorno da una festa prendono a discutere per motivi futili denunciando in questo modo un rapporto ormai troppo logoro per essere salvato. Il figlio di Moony non piange (1946) traspone quindi la scena in uno dei tanti casermoni anonimi alla periferia di una grande città, nel piccolo alloggio dove Moony, un ex tagliaboschi, vive con la moglie e loro figlio neonato. Il passaggio dalla libertà assoluta della vita e del lavoro precedente alle azioni che ripete incessantemente ogni giorno in fabbrica, alla monotonia della vita famigliare e ai soldi che non bastano mai lo spingono al limite e, giunto sull’orlo dell’alcolismo, si obbliga a decidere come voglia sia il proprio futuro.
Valentina Picello in Autodafé (1946 e 1953) si cala nel ruolo della signora Duvenet, una fervida credente, mentre Francesco Sferrazza Papa è suo figlio Eloi cresciuto in un clima rigidamente moralista, ostile a qualsiasi apertura al nuovo e al diverso. Un clima che induce Eloi a sentirsi in colpa per le proprie pulsioni sessuali, a sforzarsi di negarle e a reprimerle con violenza fino al drammatico epilogo.
Parlami come la pioggia e lascia che io ti ascolti (1953) è l’atto unico da cui lo spettacolo mutua il titolo e, in un processo di crescente pathos, propone la fuga da una realtà che rende infelici quale unica via di salvezza perché tentare di cambiarla sarebbe fatica sprecata. Una fuga dalle cose e dalle persone per ritrovarsi a vivere in perfetta armonia con la natura. Questo atto unico si configura come la giustapposizione di due intensi monologhi dei protagonisti, un uomo e una donna caduti in una spirale di crescente povertà che trascina seco alcolismo e incapacità di dialogo. Valentina Picello è straordinaria nell’interpretare, muovendosi lentamente tra il pubblico, il proprio monologo che sintetizza l’essenza del lavoro – e della vita – di Tennessee Williams e quando Francesco Sferrazza Papa prende a recitare il proprio l’emozione in sala tocca i massimi livelli. Un’emozione che si scioglie in un lungo applauso agli interpreti e al coraggio di aver voluto portare in scena questi piccoli grandi capolavori di Tennessee Williams.

Silvana Costa

Lo spettacolo continua:
Teatro Franco Parenti – Sala Tre
via Pier Lombardo, 14 – Milano
fino a domenica 5 novembre 2023
www.teatrofrancoparenti.it

Parlami come la pioggia
di Tennessee Williams
traduzione Masolino D’Amico
con Valentina Picello, Francesco Sferrazza Papa
regia Andrea Piazza
scene e costumi Alice Vanini Tomola
produzione Teatro Franco Parenti
prima nazionale
durata 1 ora e 30minuti

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